“Marx parte da una tesi che non sarà mai più abbandonata: «la critica della religione nell’essenziale è compiuta, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica». Essa rappresenta il trascendentale per la prosecuzione della critica in critica della politica e dell’economia politica e in concezione della rivoluzione comunista. Erede esplicito di Epicuro e della filosofia dell’Illuminismo, lettore del ‘Trattato teologico-politico’ di Spinoza, inserito nella lotta laica della sinistra hegeliana, discepolo nel 1843 di Feuerbach, il giovane Marx vede nella religione «la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera». «La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo» (1). Queste formule di grande presa, oltre che famose, nulla hanno di originale: registrano una situazione storica oggettiva e ripetono una tesi enunciata più volte. Marx non incontra la religione in singolar tenzone, perché per lui il pensiero moderno ha distrutto definitivamente l’illusione della divinità e quella complementare della sacralità dell’uomo come creatura centro dell’universo creato. Più appropriatamente, Marx si tiene fin dall’inizio su una posizione di immanenza. L’attività umana deve essere compresa e spiegata a partire da se stessa, senza riferimenti ad un potere separato ed esterno. Questa posizione teorica è intrinsecamente una posizione pratica, nella quale si esprime un interesse per l’autonomia e l’emancipazione indentificata come possibilità prodotta dal processo storico, interesse a costruire attraverso la conoscenza delle forme di servitù divenute superflue e attraverso quella delle forme di dipendenza naturali ordinabili e controllabili, ma insopprimibili. Le figure in contrasto di Prometeo e di Epicuro fanno da supporto a questa presa di posizione. La religione è dunque un prodotto dell’attività umana, non l’inverso. In questo senso la critica è «irreligiosa». Eccone il fondamento: «l’uomo fa la religione, e non la religione l’uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell’uomo che non ha ancora conquistato o a già di nuovo perduto se stesso. Ma l’uomo non è un’entità astratta posta fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto» (2). La causa della religione deve essere cercata nell’attività reale degli uomini e questa si concentra nel lavoro, l’attività pratico-sensibile umanizzante e generica” (pag 88-89) [André Tosel, ‘La critica marxiana della religione e il ruolo delle ideologie’, Critica marxista, Roma, n. 3, maggio-giugno 1989] [(1) Karl Marx, ‘Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione’, in Id., ‘La questione ebraica’, a cura di G. Pisanò, Roma, Editori Riuniti, 1987, p. 33; (2) Ibidem]