“L’uscita del terzo libro del ‘Capitale’, nel 1894 (451), mentre il secondo era uscito anch’esso postumo nove anni prima, ribadì la centralità dell’opera di Marx. Realizzato postumo da Engels sugli appunti di Marx, talora assai difficili da interpretare, il terzo libro conteneva il concetto di ‘Legge della caduta tendenziale del saggio del profitto’, che consolidava con ragionamento economico la previsione della crisi del capitalismo (452). Marx (o il Marx ricostruito da Engels) si occupava della questione nella seconda sezione, e largamente nel cap. XII. Il ragionamento principale si svolgeva intorno al meccanismo per cui il bisogno di maggiore produttività in funzione di un crescente plusvalore finiva per trasformarsi in ascendente investimento nella quota di valore afferente alle macchine e dunque, alla lunga in decremento del plusvalore. Era un meccanismo inarrestabile perché dominato dalla concorrenza fino al suo tracollo conclusivo. Il capitale ne derivava un’ambivalenza verso la società: da una parte, come potenza complessiva, le si contrapponeva in modo crescente; dall’altra faceva sì che il potere del capitalista individuale verso il processo produttivo si indebolisse altrettanto progressivamente. I due termini entravano in conflitto, determinando la trasformazione “delle condizioni di produzione, in condizioni di produzione sociali, comuni, generali”. La vera legge dominante era quella del principio di concorrenza, la quale, ad ogni innovazione capace di aumentare la produttività e dunque di aumentare il saggio del profitto, faceva corrispondere una tendenza che riportava il sistema capitalistico in equilibrio e avviava la diminuzione del profitto attraverso il calo del prezzo: «Non appena il nuovo metodo di produzione comincia a guadagnar terreno, fornendo così la prova tangibile che queste merci possono venire prodotte a costo minore, i capitalisti che continuano a lavorare secondo i vecchi sistemi di produzione devono vendere le loro merci al di sotto del loro pieno prezzo di produzione, perché il valore di queste merci è diminuito ed il tempo di lavoro necessario per la loro produzione è superiore a quello sociale. In una parola – e questo sembra essere un effetto della concorrenza – essi pure sono costretti ad introdurre il nuovo metodo di produzione, che diminuisce il rapporto in cui il capitale variabile sta al capitale costante. (…) Le tre caratteristiche fondamentali della produzione capitalistica sono: 1. La concentrazione in poche mani dei mezzi di produzione, che cessano perciò di apparire come proprietà dei lavoratori diretti e si trasformano in potenze sociali della produzione, anche se in un primo tempo nella forma di proprietà privata dei capitalisti. Questi ultimi sono dei mandatari della società borghese, ma intascano tutti gli utili di tale mandato. 2. (…) In seguito alla concentrazione dei mezzi di produzione ed alla organizzazione sociale del lavoro, il modo capitalistico di produzione sopprime, sia pure in forme contrastanti, e la proprietà privata e il lavoro privato. 3. (…) L’enorme forza produttiva in relazione alla popolazione, quale si sviluppa in seno al modo capitalistico di produzione e (…) l’aumento dei valori-capitale (non solamente dei loro elementi materiali) che si accrescono molto più rapidamente della popolazione, si trovano in contrasto e con la base per cui lavora questa enorme forza produttiva, che relativamente all’accrescimento della ricchezza diventa sempre più angusta, e con le condizioni di valorizzazione di questo capitale crescente. Da questo contrasto hanno origine le crisi» (453). Alla discussione sul capitalismo, rilanciata dall’uscita del III libro del ‘Capitale’, parteciparono economisti, politici e sociologi. Larga parte della discussione, che coinvolse anche Wilhelm Lexis e Conrad Schmidt, si focalizzò sulla teoria del valore e sul prezzo di produzione concatenato al valore. Se il III libro del ‘Capitale’, secondo Engels, componeva l’«apparente» contraddizione tra la legge del valore e il profitto, non mancavano gli oppositori. Sulla rivista italiana «La Nuova Antologia», Achille Loria, che si proponeva come primo divulgatore del marxismo, con soggettiva interpretazione collocava il valore nello scambio e notava la contraddizione in Marx tra il considerare il valore nelle merci «invendibili» e il mantenere la determinazione del valore nel lavoro occorrente (454). A sua volta, Conrad Schmidt, su una rivista tedesca, riconosceva a Marx di aver risolto una difficoltà dell’economia politica, traendo il profitto medio dal plus-valore, ma discuteva la definizione della legge del valore come «ipotesi scientifica» utile alla spiegazione del processo reale di scambio (455). L’austriaco Eugen Ritter von Böhm-Bawerk, in ‘Karl Marx and the Close of His System’, del 1896, negava che il valore del lavoro fosse il fondamento del prezzo, rilevando una contraddizione rispetto al primo libro del ‘Capitale’ e una sottovalutazione della legge della domanda, posizione del resto che derivava dall’orientamento marginalista e che faceva riferimento ad una visione “individualista” dello sviluppo. Rispondendo ai primi interventi, Engels attaccava i critici, a cominciare da Loria che liquidava pesantemente, mentre dava assai più rilievo a Sombart, cui riconosceva d’aver esposto in maniera eccellente il pensiero di Marx e di aver definito in modo apprezzabile la teoria del valore, contestandogli però la ristrettezza e una certa imprecisione (456). Engels accomunava Sombart e Schmidt nell’errore di considerare passaggio logico ciò che era invece processo storico influente sul pensiero. Per 5-7 milioni di anni aveva imperato la legge del valore, fino al XV secolo, fino all’affermarsi della legge del profitto, dapprima con mercanti inclini alla condivisione del tasso del profitto, poi, con il dilatarsi dei mercati, con mercanti orientati verso l’individualismo, quindi ancora con l’emergere del capitale industriale e il formarsi del plus-valore capitalista e, a seguire, con il moderno concetto di competitività” [Fabio Bertini, ‘Gilliatt e la piovra. Il sindacalismo internazionale dalle origini a oggi (1776-2006)’, Roma, 2011] [(451) Piero Di Giovanni, ‘Croce e Marx’, in Giuseppe Cacciatore-Girolamo Cotroneo-Renata Viti Cavaliere (a cura), ‘Croce filosofo’, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, T. 1, p. 276; (452) Ivi, pp. 276-277; (453) Karl Marx, ‘Il Capitale’, Libro III, ‘La trasformazione del plusvalore in profitto – La caduta tendenziale del saggio del profitto’, a cura di Maria Luisa Boggeri, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 322-324; (454) Achille Loria, ‘L’opera postuma di C. Marx’, in “La Nuova Antologia”, CXXXIX (1895), 1° feb. 1895, pp. 460-496. Cfr. Gian Mario Bravo, ‘Engels e Loria: Relazioni e polemiche’, in ‘Studi Storici’, XI (1970), n. 3, lug.-set., pp. 533-550; (455) Conrad Schmidt, ‘Der Dritte Band des Kapital’, in ‘Sozialpolitisches Zentralblatt’, 25 feb. 1895, 22, pp. 255-258; (456) Friedrich Engels, ‘Complément et supplèment au IIIe livre du Capital’, “Le Devenir social: revue internationale d’économie, d’histoire et de philosophie’, nov. 1895, pp. 710-728]