‘Se nel movimento operaio organizzato è sempre esistito un filo rosso teorico e pratico lungo il quale si sono aggregate le analisi più lucide e le proposte politiche più coerenti, almeno altrettanto solida si è rivelata la tradizione del cedimento e della politica del giorno per giorno. A questa tendenza – che, proprio mentre la Luxemburg scrive, si esprime compiutamente con la revisione del marxismo propugnata da Bernstein – appartiene l’esponente della destra socialdemocratica tedesca Max Schippel che, prima su di una rivista della corrente, poi sull’organo del partito socialdemocratico «Die Neue Zeit», propone un’estensione del revisionismo alla questione militare e alle posizioni storicamente assunte dai socialdemocratici su questo terreno (6). Spingendosi là dove perfino Bernstein rifiuta di seguirlo, Schippel giunge a sostenere il positivo effetto delle spese militari come «sgravio» della «sovrapproduzione» nel sistema economico. A confutare le tesi di Schippel interviene la giovane e ancora poco conosciuta Rosa Luxemburg. Ciò che Schippel afferma non è di per sé inesatto – argomenta la Luxemburg – anzi è del tutto esatto per una precisa parte sociale: quella capitalista. Per i capitalisti, rileva la dirigente rivoluzionaria operando un’analisi cui ottanta anni dopo resta poco da aggiungere, il militarismo rappresenta «il più prolifico e imprescindibile tipo di investimento». Infatti «per il capitalista non è affatto indifferente trovare una determinata domanda di prodotti da parte di frazionati acquirenti privati o da parte dello stato. La domanda dello stato si distingue per una sicurezza, massiccità e favorevole, di solito monopolistica, configurazione dei prezzi, che fanno dello stato il più vantaggioso acquirente e le forniture ad esso diretto il più splendido affare per il capitale. Ciò che però particolarmente nel caso di forniture di carattere militare si aggiunge come estremamente importante vantaggio nei rispetti ad esempio delle spese statali a scopi sociali (scuole, strade, ecc.), sono le incessanti trasformazioni tecniche e l’incessante aumento delle spese». E’ così che «il militarismo, che per la società nel suo complesso rappresenta uno sperpero di enormi forze produttive economicamente pienamente assurdo, che per la classe operaia significa una riduzione del suo livello di vita economico al fine del suo asservimento sociale, costituisce per la ‘classe capitalistica’ economicamente il più splendido, insostituibile tipo di investimento, come socialmente e politicamente il miglior sostegno del proprio dominio di classe». Chi, come Schippel, vede nel militarismo un necessario «sgravio» economico scambia gli interessi capitalistici con quelli della società e della classe operaia, nella vecchia (e sempre nuova) prospettiva «dell’armonia di interessi tra capitale e lavoro» (7). Non è quindi un caso che lo stesso Schippel si pronunci in favore di alti dazi doganali che proteggano dalla concorrenza straniera, insieme, lavoratori e imprenditori tedeschi. Sul ruolo economico della produzione e della spesa militare Rosa Luxemburg tornerà in modo più approfondito un quindicennio più tardi, alle soglie di quel conflitto che rappresenterà l’inevitabile esito della corsa al riarmo intrapresa dagli stati europei. Nell”Accumulazione del capitale’, la Luxemburg sottolinea come i ‘benefici effetti’ del militarismo vengano pagati, economicamente e politicamente, dalla classe operaia. Il militarismo, così, ha un ruolo determinante nella produzione e, insieme, nella riproduzione delle condizioni della produzione: esso infatti «sulla base delle imposte indirette agisce in entrambi i sensi, assicurando a spese delle normali condizioni di vita della classe operaia sia il mantenimento degli organi di dominio del capitale, degli eserciti permanenti, sia il più vasto campo di accumulazione del capitale (8)». Come un brigante – aveva scritto Karl Liebknecht, l’altro esponente della sinistra dell’Internazionale che cadrà per mano del militarismo tedesco – il militarismo sta di fronte al proletariato «armato sino ai denti» e, più disonesto di un brigante, gli ingiunge: «la borsa e la vita!» (9). Lo sfruttamento economico è infatti il mezzo utilizzato dalle classi possidenti «non soltanto per far forgiare, ma possibilmente anche per far pagare dalle classi oppresse e sfruttate le loro stesse catene» (10)” [Fabrizio Battistelli, ‘Armi: nuovo modello di sviluppo? L’industria militare in Italia’, Torino 1980] [(6) Isegrim (pseudonimo di M. Schippel), ‘War Friedrich Engels milizgläubig?’, in “Sozialistische Monatshefte”, 1898, n. 11; M. Schippel, ‘Friedrich Engels und das Milizsystem’, in “Der Neue Zeit”, 1898-99, nn. 19-20. Non a caso Schippel è tra quei socialisti tedeschi che appoggiano, palesemente o meno, l’esiziale politica di riarmo navale promossa dall’ammiraglio von Tirpitz; (7) R. Luxemburg, ‘Milizia e militarismo’, in Id, ‘Scritti scelti, cit., p. 172; (8) Id., ‘L’accumulazione del capitale’, Einaudi, Torino, 1972, pp. 466-67; (9) K. Liebknecht, ‘Militarismo e antimilitarismo con particolare riguardo al movimento giovanile internazionale’, in Id. ‘Scritti politici’, a cura di E. Collotti, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 198; (10) Ibid., p. 118]