“E’ a partire dal dibattito sul revisionismo, in effetti, che Kautsky è costretto a misurarsi  con i nuovi problemi posti dallo sviluppo capitalistico. La ‘Anticritica’ che egli contrappone a Bernstein (13) è in parte una replica e un insieme di rettifiche sull’interpretazione che Bernstein ha dato della teoria di Marx (l’abbandono del metodo marxista, l’attribuzione a Marx e ad Engels di una “teoria del crollo” e di una “teoria dell’impoverimento”, intesa come aumento della miseria fisica del proletariato, la cui paternità dice Kautsky, spetta invece a Bernstein stesso e agli avversari del marxismo), ma è anche un confronto sui contenuti, sui fatti in base ai quali Bernstein ha proposto la sua revisione del marxismo. (…) Nella risposta alle obiezioni avanzate da Bernstein riguardo alle previsioni di Marx e di Engels sul processo di concentrazione del capitale, Kautsky prima di tutto confuta la significatività dei dati statistici su cui si fondano le conclusioni di Bernstein sull’aumento delle piccole aziende e chiarisce l’impossibilità di assumere come indice del processo di concentrazione semplicemente la concentrazione tecnica delle imprese, riportata dalle statistiche, quando questa è solo una delle forme attraverso cui si realizza la concentrazione economica: in tal modo rimangono fuori del quadro proprio quei fenomeni, i cartelli e i trust, che rappresentano gli aspetti più significativi del processo di concentrazione capitalistico” (pag 8); […] “E’ chiaro che in questo modo Kautsky riesce facilmente ad avere ragione del rozzo empirismo di Bernstein, della incapacità di quest’ultimo ad andare oltre la pura e semplice registrazione di alcuni dati statistici” (pag 10); […] “Se il tema dominante della ‘Questione agraria’, come della critica a Bernstein e degli scritti sul colonialismo, è quello dell’espansione e dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, le ‘Krisentheorien’ (29), lunga recensione e confutazione, pubblicata sulla ‘Neue Zeit’, della teoria delle crisi di Tugan-Baranovskij, hanno invece un segno diverso: qui il fine principale è per Kautsky quello di dimostrare i limiti, le inevitabili barriere economiche di questo stesso sviluppo. (…) Il centro della polemica di Kautsky contro Tugan-Baranovskij non era tanto la questione dell’inevitabilità o meno delle crisi nel sistema capitalistico; ciò che Kautsky soprattutto combatteva nella posizione di Tugan era il fatto che cercare esclusivamente, come faceva quest’ultimo, nella mancanza di un piano, nell’anarchia della produzione capitalistica che impedisce la proporzionalità tra i vari settori della produzione,  il fondamento delle crisi, significava non vederlo invece nell’accumulazione capitalistica stessa, in quanto continua espansione della produzione che avviene sulla base del rapporto di sfruttamento tra capitale e classe operaia, dell’appropriazione e conversione in nuovo valore di lavoro non retribuito. Il sottoconsumo, che appare come un fenomeno della sfera della distribuzione e manifesta i suoi effetti nella periodica impossibilità di realizzare completamente il plusvalore, costituisce per Kautsky il ‘fondamento ultimo’ delle crisi proprio perché esso non è altro che la conseguenza inevitabile del rapporto di sfruttamento, che è la base e la contraddizione essenziale della produzione capitalistica. Il sottoconsumo, dice Kautsky, esisteva anche prima dell’affermarsi dei rapporti di produzione capitalistici, ma allora esso era un fatto casuale: “Col proletariato, invece, è sorta una classe il cui sottoconsumo era un risultato necessario delle sue condizioni sociali” (31)” (pag 16); […] “Le crisi quindi, in quanto sono un prodotto dell’accumulazione capitalistica stessa, sono destinate a crescere sempre più di intensità col crescere dell’accumulazione; l’accumulazione del capitale e l’espansione della grande industria, d’altra parte, progrediscono continuamente con il progredire dello sviluppo economico. Quanto più procede questo sviluppo, – questa è la conclusione di tutta l’argomentazione di Kautsky – quanto più la produzione capitalistica  da una parte si concentra e dall’altra si estende, assorbendo progressivamente le sfere non capitalistiche, riducendo lo spazio economico dell’agricoltura rispetto a quello dell’industria come quello della piccola azienda rispetto a quello della grande, facendo aumentare il numero delle nazioni industriali rispetto a quelle agricole e dilatando quindi a livello mondiale la capacità di produzione della  grande industria capitalistica, tanto più si avvicina il momento della fine per la produzione capitalistica (…)” (pag 17); […] “Quella che ne risulta è una prospettiva di crollo del sistema capitalistico sulla base del suo stesso sviluppo. Non si tratta di una teoria del crollo economico in senso stretto, che Kautsky respinge già nella polemica contro Bernstein e che contro Tugan-Baranovskij, in ‘Verelendung und Zusammenbruch’, definisce “una ridicola invenzione del revisionismo” rilevando l’assurdità di attribuire a Marx la concezione che il sistema capitalistico possa morire di morte naturale, senza l’intervento degli uomini” (pag 18) [Andrea Panaccione, L’analisi del capitalismo in Kautsky, 1974] [(13) Karl Kautsky, Bernstein und das sozialdemokratische Programm, Stuttgart, 1899; (29) Karl Kautsky, Krisentheorien, in Die Neue Zeit (1901-02), a. 20, pp. 37-47, 76-81, 110-18, 133-43; (31) Krisentheorie, p. 78]