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“Nella sua biografia il confronto decisivo con l’economia politica avviene però solo successivamente all’esilio a Londra, a seguito del fallimento delle rivoluzioni europee del 1848-1849. E’ infatti nelle sale del British Museum che Marx “divorerà” una tale quantità di letteratura economica da consentirgli di scrivere, dal 1857 in poi, una massa sterminata di appunti sfociati nella pubblicazione del primo libro del ‘Capitale’ nel 1867 (il secondo e il terzo libro saranno ricavati da Friedrich Engels da tutti quei manoscritti e pubblicati nel 1885 e nel 1894, a Marx già deceduto). E’ perciò solo dal 1857 in poi che si può parlare di un Marx “maturo” che ha finalmente individuato l’oggetto della propria critica nell’analisi del ‘capitale’ quale carattere sintomatico dell’organizzazione economica della società moderna. “La necessità di sviluppare esattamente il concetto di capitale è data dal fatto che esso è il concetto fondamentale dell’economia moderna, così come il capitale stesso, la cui controfigura astratta costituisce il suo concetto, è il fondamento della società borghese. Dalla rigorosa comprensione del presupposto fondamentale del rapporto devono risultare tutte le contraddizioni della produzione borghese e, insieme, il punto limite in cui il rapporto costringe ad andare oltre se stesso” (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Vol I, p. 326)” [Giorgio Gattei, Storia del valore-lavoro, 2011]