“Per quanto possano apparire per il resto disparati, tutti questi rapporti hanno una cosa in comune: il capitale frutta di anno in anno al capitalista un profitto, il suolo frutta al suo proprietario una rendita fondiaria, e la forza lavoro – in condizioni normali, e finché rimane forza lavoro utilizzabile – frutta all’operaio un salario. Queste tre parti di valore del valore totale annualmente prodotto, e le frazioni ad esse corrispondenti del prodotto totale annualmente prodotto – prescindiamo qui, a tutta prima, dall’accumulazione – possono essere consumate annualmente dai loro rispettivi possessori senza che la fonte della loro produzione si inaridisca. Esse appaiono come frutti, da consumarsi anno per anno, di un albero perenne, o meglio di tre alberi perenni; costituiscono il reddito annuo di tre classi, del capitalista, del proprietario fondiario e del lavoratore, redditi che il capitalista in funzione ripartisce nella veste di colui che estorce direttamente il pluslavoro e impiega in generale il lavoro. Perciò al capitalista il suo capitale, al proprietario fondiario la sua terra, e all’operaio la sua forza lavoro, o piuttosto lo stesso suo lavoro (…) appaiono come tre fonti diverse dei loro redditi specifici: del profitto, della rendita fondiaria e del salario. Ed essi lo sono, in realtà, nel senso che per il capitalista il capitale è una perenne macchina di estorsione del pluslavoro, per il proprietario fondiario la terra è una perenne calamita per l’attrazione di una parte del plusvalore spremuto dal capitale e infine, per l’operaio, il lavoro è la condizione e il mezzo sempre rinnovantisi per assicurarsi a titolo di salario una parte del valore da lui creato, quindi un’aliquota del prodotto sociale misurata da questa parte di valore: i mezzi di sussistenza necessari” [Karl Marx a cura di Bruno Maffi, Il Capitale. Libro terzo, 2006]