“Così come esistono musicisti con l’orecchio assoluto, si lasciò sfuggire Lenin nel 1903, «esistono persone di cui si può dire che possiedono un istinto rivoluzionario assoluto» (Valentinov, 1993, p. 499). Tale egli stimava Marx, tale era anche Nikolaj Cernysévskij, fondatore del populismo russo e modello da lui venerato sopra ogni altro. Ma l’oscuro esule politico a Ginevra non poteva non avere già un presentimento di quanto – sopra ogni altro – la definizione si confacesse a lui. «Aveva egli dunque la consapevolezza (la sensazione) di essere stato “chiamato”, proprio lui?» – si appunterà molto tempo dopo nel diario il fedelissimo Grigorij Zinov’ev, – «Sì, l’aveva. Senza di essa non sarebbe diventato Lenin». Lenin non avrebbe mai detto di sé, come Martin Lutero, di essere ‘actus, non agens’, ovvero guidato, condotto, non attore, protagonista: sua era l’incrollabile certezza di essere «responsabile per l’intera umanità» e «la guida (nel senso migliore della parola) della classe operaia e del partito» (Zinoviev, 1989, p. 171)” [Giulio Carpi, Lenin, il rivoluzionario assoluto (1870-1924)’, Carocci editore, Roma, 2023, pag 9, introduzione] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]