“La terza fase, nell’evoluzione della presa di coscienza del movimento operaio sul problema della burocrazia; è una fase “molto delicata” per quei comunisti che sono contemporaneamente leninisti e trotskisti: si è manifestata con la polemica di Trotsky contro Lenin e contro la sua teoria sull’organizzazione del partito. In questa polemica Trotsky ha avuto torto; ciò è incontestabile alla luce dell’esperienza storica, e Trotsky stesso l’ha riconosciuto. Ma quando un uomo come Trotsky sbaglia, vi sono spesso, anche nei suoi errori, elementi di verità: se si considera non la logica interna del suo ragionamento, che era falsa, ma piuttosto le sue conclusioni, si trova un presentimento molto giusto, la cui formulazione costituisce una straordinaria profezia: nel 1903 Trotsky scriveva che la teoria che porta alla sostituzione del partito al proletariato, per l’esecuzione dei compiti fondamentali della rivoluzione, rischiava di portare alla sostituzione del Comitato centrale al partito, della Segreteria al Comitato centrale, poi del Segretariato generale alla Segreteria. Si rischiava di arrivare ad una situazione storica in cui un solo uomo sarebbe stato investito della missione di realizzare o completare i grandi compiti della rivoluzione. Questo presentimento esprimeva la condanna giustificata di ogni teoria sostituzionalista e non della vera teoria leninista che, sicuramente, non assumeva questo aspetto. All’epoca staliniana questa teoria è divenuta, in modo semi-esplicito e semi-aperto, la teoria ufficiale del partito staliniano. I dirigenti burocratici di taluni Stati operai sono sempre estremamente sorpresi quando li si sfida a trovare una sola frase, in tutti gli scritti di Lenin in cui dica che la dittatura del proletariato deve essere esercitata dal partito; che è il partito che deve realizzare la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, ecc. Questa constatazione li riempie sempre di stupore perché sono stati educati nella concezione per cui si trasferiscono al partito i compiti del proletariato. Al contrario, tutti i testi classici del leninismo (cfr. ‘Stato e rivoluzione’) parlano sempre dei compiti che debbono essere eseguiti ‘dal proletariato sotto la direzione del partito’, cosa di gran lunga diversa. La teoria, che trasferisce al partito l’esecuzione dei compiti storici del proletariato, usurpandone il  posto, porta molto logicamente a situazioni in cui il partito è portato ad eseguire questi compiti malgrado l’opposizione dell’enorme maggioranza del proletariato: questo giustificherebbe Budapest e l’intervento delle truppe sovietiche contro la rivoluzione ungherese e lo sciopero generale del 95 per cento del proletariato ungherese. Questo farebbe dire che la dittatura del proletariato può essere esercitata dal partito ‘contro’ il 95 per cento del proletariato, in un dato momento storico e in un determinato Paese. La critica di Trotsky a questa teoria sostituzionista era, dunque, in sé assolutamente giusta: era tuttavia una anticipazione perché nessuno, nel 1903, difendeva questa tesi, e tantomeno Lenin che l’ha respinta a più riprese; (3) questa teoria non ha visto veramente la luce che trent’anni più tardi, all’apogeo dell’epoca staliniana, divenendo dottrina semi-ufficiale della burocrazia sovietica” (pag 37-39) [Ernest Mandel, La burocrazia, Nuove Edizioni Internazionali, Milano, 1981] [3) Nella seconda edizione di ‘Che fare?’, nella prefazione del 1905, Lenin insiste sul fatto che, dal momento in cui il partito si separa dall’avanguardia del proletariato, si cade “nell’avventurismo e nell’arbitrarietà più completa”. Un piccolo gruppo di burocrati, seduti ad un tavolo, può decidere che, in particolari circostanze storiche, il proletariato deve agire in un senso determinato: è far sparire completamente il principale criterio oggettivo, ‘la volontà del proletariato’, e ciò che è disposto effettivamente ad accettare]