“Un indagatore molto profondo, anche fantastico dei principi che governano i movimenti dell’umanità (Hegel, ndr), soleva indicare come uno dei misteri dominanti della natura quella che egli chiamava la legge dell’incontro degli estremi. Il detto corrente che «gli estremi si toccano» era, ai suoi occhi, una verità grande e possente in ogni sfera della vita, un assioma dal quale il filosofo non può prescindere, come l’astronomo non può non tener conto delle leggi di Keplero o della grande scoperta di Newton. Se «l’incontro degli estremi» sia o no un principio così universale, se ne può vedere una illustrazione convincente negli effetti che la rivoluzione cinese sembra destinata ad avere sul mondo civile. Può sembrare un’affermazione molto bizzarra e molto paradossale che la prossima insurrezione dei popoli europei e il loro prossimo moto per le libertà repubblicane e per un sistema di governo a buon mercato dipendano molto probabilmente da ciò che sta oggi avvenendo nel Celeste Impero – proprio agli antipodi dell’Europa – più che da qualsiasi altra causa politica oggi esistente, persino più che dalle minacce della Russia e dalla conseguente probabilità di un conflitto europeo generale. Eppure non è un paradosso, come si può capire quando si considerano attentamente le circostanze del caso. Quali che siano le cause sociali che hanno provocato lo stato endemico di ribellione esistente in Cina da almeno una decina di anni ed ora sommatesi tutte in una formidabile rivoluzione e quale che sia la forma religiosa, dinastica o nazionale da essa assunta, l’occasione di questa esplosione è stata indubbiamente offerta dai cannoni inglesi che hanno imposto alla Cina lo stupefacente chiamato oppio. Davanti alle armi inglesi l’autorità della dinastia Manciù andò in frantumi, la fede superstiziosa dell’eternità del Celeste Impero si spezzò: il barbaro ed ermetico isolamento del mondo civile si incrinò e si aprì un varco per quei contatti che da allora si sono sviluppati con tanta rapidità grazie alle dorate attrattive della California e dell’Australia. Al tempo stesso le monete d’argento dell’impero, sua linfa vitale, cominciarono a fluire verso le Indie orientali britanniche. (…) In questa situazione, poiché il commercio inglese ha già quasi percorso il regolare ciclo economico, si può tranquillamente prevedere che la rivoluzione cinese farà scoccare la scintilla nella polveriera satura dell’attuale sistema industriale, provocando l’esplosione della crisi generale lungamente preparata, che si propagherà all’estero e sarà seguita a breve distanza da rivoluzioni politiche sul continente. Sarebbe un curioso spettacolo quello della Cina che esporta disordine nel mondo occidentale mentre le potenze occidentali, per mezzo delle navi da guerra inglesi, francesi e americane portano «ordine» a Shanghai, a Nanchino e alla foci del Gran Canale. Dimenticano forse queste potenza spacciatrici d’ordine, che vorrebbero tentare di puntellare la vacillante dinastia Manciù, che l’odio per gli stranieri e la loro esclusione dell’impero, che un tempo erano soltanto conseguenza della posizione geografica ed etnografica della Cina, sono diventati un principio politico soltanto dopo la conquista del paese da parte dei tatari manciù? Non c’è dubbio che le burrascose rivalità tra le nazioni europee che, verso la fine del XVII secolo, si disputavano il commercio con la Cina, diedero un potente impulso alla politica isolazionistica seguita dai Manciù. (…) Dall’inizio del XVIII secolo non c’è stata in Europa rivoluzione seria che non sia stata preceduta da una crisi commerciale e finanziaria. Ciò vale per la rivoluzione del 1789 non meno per quella del 1848. È certo non solo che ogni giorno è dato osservare sintomi sempre più minacciosi di contrasti tra i governanti e i loro sudditi, tra lo Stato e la società, tra le differenti classi, ma anche gli attriti tra le potenze stanno gradualmente raggiungendo il punto in cui si dovrà brandire la spada e far ricorso all’ultima ratio dei principi. Nelle capitali europee pervengono quotidianamente dispacci forieri di guerra generale, che scompaiono sotto i dispacci del giorno successivo, i quali assicurano che la pace durerà un’altra settimana o poco più. Possiamo essere sicuri, tuttavia, che per quanto acuti possano essere gli attriti tra le potenze europee, per quanto minaccioso possa apparire l’orizzonte diplomatico, qualsiasi moto posso essere tentato da qualche gruppo fanatico in questo o quel paese, l’ira dei principi e la rabbia del popolo saranno in pari misura placate dal soffio della prosperità. Né guerre né rivoluzioni potranno sconvolgere l’Europa, se non come conseguenza di una crisi generale commerciale e industriale, il cui segnale, come al solito, dovrebbe essere dato dall’Inghilterra, che rappresenta l’industria europea sul mercato mondiale” (pag 7-8; 16-18) [Karl Marx, ‘Rivoluzione in Cina e in Europa’, ‘New York Daily Tribune’, 14 giugno 1853] [Karl Marx, Cina, Editori Riuniti, supplemento a Lotta comunista, Milano, 1993]