“Kautsky fu contrario alle tesi che Marx aveva espresso sulla Comune di Parigi e che tornarono, poi, di attualità con la rivoluzione bolscevica, fu contrario, cioè, all’idea dei consigli di fabbrica o dei soviet come alternative alla democrazia parlamentare; egli non negava l’utilità di una legislazione diretta, anzi ne auspicava l’estensione, ma era contrario a sostituire la legislazione diretta al parlamento (14). Le idee di cui si è detto spiegano perché, quando Bernstein scrisse il suo libro su ‘I presupposti del socialismo’, Kautsky e Bernstein si trovarono su due fronti opposti, che minacciavano di spaccare in due la socialdemocrazia. Bernstein fu il primo grande riformista, che non credeva né al “crollo” inevitabile del capitalismo, né a un possibile superamento di esso, e propugnava la tesi che il proletariato non potesse far altro che condizionare lo sviluppo capitalistico, facendo valere la sua forza per democratizzare lo Stato e favorire una maggiore eguaglianza, alleandosi con i settori più progressisti della democrazia liberale. Kautsky replicò a Bernstein, dichiarando che la teoria del “crollo” non era parte centrale dell’insegnamento marxista e difendendo non più una teoria dell’impoverimento assoluto, bensì una teoria dell’impoverimento relativo. Quest’ultima, tuttavia, non comportava affatto, a giudizio di Kautsky, l’abbandono dell’idea della inevitabilità della rivoluzione, perché l’impoverimento relativo porta a un continuo inasprimento dei contrasti sociali e, quindi, a uno sbocco rivoluzionario della lotta di classe (15). In seguito non c’è dubbio che Kautsky, cambiò le sue idee, abbandonò sia l’idea dell’inevitabilità del “crollo”, sia l’idea che contro il partito socialdemocratico non c’era che un blocco reazionario, e si andò avvicinando così ai riformisti. Egli appoggiò sempre più il parlamento e l’idea che il potere statale dovesse essere conquistato, non abolito, contro Pannekoek che sosteneva, invece, che la lotta tra borghesia e proletariato non era una lotta per la conquista dello Stato, ma una lotta pro e contro il potere statale. L’ostilità di Kautsky contro coloro che proponeva la democrazia dei consigli fu decisa; ma egli continuò a difendere la rivoluzione. A suo avviso, i consigli di fabbrica erano importanti per fare la rivoluzione, non come organi del nuovo Stato (16)” (pag 50-51) [Bruno Jossa, ‘Riformisti e rivoluzionari nel marxismo classico’, Il Ponte, Firenze, n. 1, gennaio 2006, p. 47-53] [(14) K. Kautsky, ‘Parlamentarismus und Demokratie’, Stuttgart, 1911, p. 121; (15) Cfr. K. Kautsky (1892) ‘Introduzione al pensiero economico di Marx’, cap. VIII, e Id., ‘Bernstein und das sozialdemokratische Programm. Eine Antikritik’, Stuttgart 1899, pp. 127 e 162ss; M.L. Salvadori, “La concezione del processo rivoluzionario in Karl Kautsky (1891-1922)”, ‘Storia del marxismo contemporaneo’, Annali Feltrinelli, Milano, 1974. pp. 36-41; (16) Vero è, tuttavia, che “gli anni fra il 1904 e il 1906 rappresentarono una fase di grande significato nell’evoluzione politica di Kautsky, perché videro l’influente teorico compiere una svolta a sinistra condizionata dalle lotta di massa scoppiate in Germania e dagli effetti della rivoluzione russa, talché egli giunse al punto da affermare la necessità di rivedere la tattica della socialdemocrazia, combinando la lotta parlamentare con le lotte extraparlamentari. E l’analisi delle vicende rivoluzionarie russe valse a Kautsky il plauso incondizionato di Lenin (M.L. Salvadori (1979), “La socialdemocrazia tedesca e la rivoluzione russa del 1905. Il dibattito sullo sciopero di massa e sulle “differenze” tra Oriente e Occidente”, in M.L. Salvadori, ‘Dopo Marx’, Torino, Einaudi, 1981, p. 69). Questa svolta politica di Kautsky si ritiene che cessi all’indomani del congresso di Mannheim del 1906 con la sua presa di posizione sullo sciopero generale e la polemica a riguardo con Rosa Luxemburg (cfr. G. Celata e B. Liverani, ‘Introduzione’ a K. Kautsky, ‘Teorie delle crisi’, Firenze, Guaraldi, 1976, pp. 16-17). La precedente svolta del pensiero di Kautsky è ancora visibile in ‘La via la potere’, che è del 1909 e viene talora considerato il più radicale dei suoi scritti; ma c’è argomento per dire che questa nota opera sia “un classico del revisionismo nel suo significato più profondo” (A. Panaccione, “Introduzione” a K. Kautsky, ‘La via al potere’, Bari, Laterza, 1969, p. XIX; cfr. anche Celata e Liverani, v. cit. p. 18). Lenin invece, ha scritto che Kautsky era ancora un marxista nel 1909 allorché scrisse ‘La via al potere’]