“Per quanto il lavoro teorico da compiere sia ancora immenso, non si può dire che le prime fondamenta di questo programma di ‘ricostruzione morfologica’ del marxismo non siano state gettate. Tanto è vero che lo spunto per una impostazione corretta – e analiticamente feconda – del problema ci viene offerto proprio da Badaloni (1), quando, a commento dello sforzo compiuto da Labriola per definire in termini rigorosi il rapporto tra prassi e conoscenza, tattica e teoria, scrive: «Il proletariato non si colloca (…) in un tempo storico indeterminato, ma in quel particolare tempo storico che è dominato dalla crisi della formazione sociale borghese» (p. 13). Ma non è forse in questo avvertimento teorico – in cui Labriola scorgeva la scaturigine storica del marxismo nello sviluppo ‘storico-mondiale’ dell’umanità – che si radica la necessità, ‘per noi oggi’, di analizzare il rapporto stato-crisi al fine di fondare scientificamente il terreno della politica? Il tema gramsciano dell’«intellettuale collettivo», e il suo ruolo storico nella fase di transizione, andrebbe pertanto riesaminato in rapporto alla «concezione dello stato secondo la produttività (funzione) delle classi sociali» (2). Per questa via è forse possibile, dietro l’impulso di Gramsci, andare a ricercare alle radice della nostra concezione, cioè nello stesso Marx, il nucleo di una teoria scientifica del politico (…)” (pag 76) [Giacomo Marramao, ‘Il marxismo di Gramsci e la teoria della transizione. (Discussioni)’, Aut Aut, Milano, n. 148, luglio-agosto 1975, pag 68-76] [(1) Nicola Badaloni, ‘Il marxismo di Gramsci’, Einaudi, Torino, 1975; (2) A. Gramsci, ‘Quaderni del carcere, ed. critica, p. 132. Si vedano in proposito le stimolanti considerazioni svolte da Franco De Felice in ‘L’Unità’, 25 settembre 1973]