“Ho sinora considerato separatamente l’umanismo come concezione della storia, e l’umanesimo come etica. Ma nella storia del pensiero di Mondolfo c’è un momento, che è poi uno dei momenti cruciali della storia del socialismo e del movimento operaio, in cui i due aspetti si richiamano l’uno con l’altro. Mi riferisco al periodo della rivoluzione russa. Sono gli anni in cui scende per così dire dalla cattedra (anche se Gramsci in un articolo sferzante gli rimprovera la serietà accademica con cui il professore boccia Lenin perché la sua azione rivoluzionaria non rientra negli schemi di un preteso marxismo scientifico costruito a tavolino dai nuovi dottori di Salamanca) e partecipa più direttamente alla battaglia politica scrivendo una lunga serie di articoli sulla rivoluzione che raccoglie in varie edizioni del libro ‘Sulle orme di Marx’. In questi scritti, che rappresentano forse l’espressione più compiuta e consapevole in Italia di quell’orientamento critico nei riguardi del leninismo che per comodità può essere chiamato il punto di vista menscevico. Mondolfo dà sulla rivoluzione un giudizio storico e un giudizio etico che sono strettamente intrecciati. Il giudizio etico che consiste soprattutto nella condanna del terrore è desunto da un giudizio storico che si fonda o che pretende di fondarsi su una determinata interpretazione del marxismo inteso come concezione della storia. Il terrore è necessario perché la rivoluzione è stata prematura, e la rivoluzione è stata prematura perché Lenin non ha rispettato il canone fondamentale fissato una volta per sempre da Marx in un celeberrimo passo della introduzione alla ‘Critica dell’economia politica’ secondo cui «una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso» e «nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza». Sul tema della rivoluzione prematura e del rapportofra rivoluzione socialista e arretratezza russa sono state scritte a caldo e a freddo migliaia di pagine: è ancora uno dei grandi temi della storiografia contemporanea, come dimostra l’interesse suscitato dal saggio di Roy Medvedev, ‘La rivoluzione d’ottobre era ineluttabile?’, dove il problema del «terrore» e della sua pretesa necessità occupa un posto importante nella valutazione di certe misure sbagliate o intempestive prese dal governo dei bolscevichi. Sin dal 197 la rivista dei riformisti «Critica sociale» aveva espresso con fermezza l’opinione che per le condizioni arretrate della società russa la rivoluzione socialista era impossibile, sentenziando che «la storia qualche volta procede a salti, dopo lunghe stasi, ma nessun salto può varcare gli oceani». Dal canto suo, la Confederazione del lavoro, pur salutando «col cuore gonfio d’esultanza» la caduta del vecchio regime, precisava: «Non perciò la rivoluzione è compiutamente proletaria. Per quanto audace lo sbalzo in avanti del proletariato, è fatale che la direzione della cosa pubblica resterà nelle mani della borghesia»” [Norberto Bobbio, ‘Maestri e compagni’, Passigli editore, Firenze, 1984]
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- Articolo pubblicato:20 Gennaio 2025