“Né pace ed eguaglianza materiale, insomma, come già risulta evidente in Rousseau, vi è nello Stato politico moderno, ma nemmeno possibilità di contratto, di soluzioni oltre l’egoismo semplice della natura, oltre l’eguagliamento fra natura e privatezza. Insomma Marx sembra quasi approdare, all’indomani dell’emancipazione politica, al punto in cui era giunto Rousseau prima di affidare allo Stato politico la sintesi fra convenzione e civiltà. La risorsa roussoniana della politica, diventa per Marx la definitiva scoperta del dramma di una natura non socievole e di una valenza conflittuale dell’integrazione tra spirito libero della politica, e natura egoistica. In questo senso, il passaggio all’organizzazione della società e dello Stato comporta, sia in Rousseau, sia in Marx, un’importante modificazione: nel primo l’emancipazione politica cancella la natura isolata dell’uomo, o la riduce a ricordo culturale, persino a rimpianto. Ad essa si sostituisce un processo, e insieme una volontà di convivenza regolata, in cui il «negativo» degli interessi della società civile non muore, ma è sede dell’obbligo alla vita attraverso il contratto, infine alla vita grazie ad una tolleranza possibile. Diversa è la prospettiva di Marx. Per Marx l’emancipazione politica rinvia ad una pagina successiva, e per lui definitiva: quella dell’emancipazione umana. Egli la definisce come una fase di riconquista da parte dell’uomo, della qualità sociale delle sue «forze proprie». Utilizzando, non a caso, la medesima espressione di Rousseau, Marx rinvia ad un tempo futuro la vera realizzazione dell’uomo e la sua unità morale. Se l’emancipazione politica si risolve in una scissione fra libertà ed egoismo, il disegno dell’emancipazione umana nasce dalla ricerca di una nuova unità. Essere e coscienza vengono ancora una volta convocati alla verifica delle loro possibilità di incontro in una logica in cui il sentirsi dell’uomo, la sua autorappresentazione, la sua forma di coscienza, si organizza a chiave di lettura della sua stessa storia e del suo esito. In questo senso la coscienza del «cittadino» (uomo nello Stato), appare a Marx una autorizzazione alla scissione, mentre la coscienza del sociale, il senso di una appartenenza comune, ma distinta dalla forma statuale rappresentativa, funge da legittimazione alla ricomposizione: «’Ogni’ emancipazione – afferma Marx – è un ‘ricondurre’ il mondo umano, i rapporti umani all’ ‘uomo stesso’. L’emancipazione politica è la riduzione dell’uomo, da un lato, a membro della società civile, all’individuo ‘egoista indipendente’, dall’altro, al ‘cittadino’, alla persona morale. Solo quando il reale uomo, individuale riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, (…) è divenuto ‘ente generico’, soltanto quando l’uomo ha riconosciuto e organizzato le sue ‘forces propres’ come forze ‘sociali’, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza ‘politica’, soltanto allora l’emancipazione umana è compiuta» (40).” (pag 476-477) [dal saggio: ‘L’emancipazione politica fra Rousseau e Marx’, di Silvio Suppa (pag 457-479); (in) ‘I linguaggi politici delle rivoluzioni in Europa, XVII-XIX secolo. Atti del convegno, Lecce, 11-13 ottobre 1990’, a cura di Eluggero Pii, Editore Leo S. Olschki, Firenze, 1992] [(40) K. Marx, ‘Sulla questione ebraica’, cit., p. 182]
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- Articolo pubblicato:8 Marzo 2025