“Mentre Proudhon scriveva il suo ‘La guerre et la paix’, Engels leggeva Clausewitz, e gli piaceva. Come scrisse al principio del 1858 in una ben nota lettera a Marx: «Ora leggo tra l’altro Clausewitz, ‘Vom Kriege’. Strano modo di filosofare, ma quanto alla sostanza ottimo. Alla domanda se si debba dire arte o scienza della guerra, la risposta è che la guerra è simile soprattutto al commercio» (1). La guerra assomiglia al commercio (assomiglia a uno scambio di merci); ha un ethos mercantile, che comporta il calcolo di prezzi e rendimenti. Per dirla in altro modo, la guerra ha a che fare col commercio e non coll’industria perché nel modello del commercio è possibile immaginare due esseri raziocinanti autonomi e sovrani, i quali fanno i loro calcoli usando la guerra come moneta. Di fatto, l’analogia della guerra col commercio è solo una delle molte che troviamo nel ‘Vom Kriege’ di Clausewitz. Il messaggio che “la guerra è commercio” sarebbe una caratterizzazione molto parziale della storia raccontata dal ‘Vom Kriege’. Clausewitz scrisse nella prima parte dell’Ottocento; e dopo il 1870 fu riletto come l’apostolo della “guerra tecnologica moderna” degli anni Sessanta e successivi. Il suo freddo riconoscimento degli oneri sempre maggiori, e alla fine totalizzanti, che la macchina bellica rischia di imporre allo Stato che l’utilizza fa sì che Clausewitz appaia “moderno”. Dopo tutto, egli parlò della «guerra moderna assoluta, nella sua energia frantumatrice» (2)” (pag 72-73) [Daniel Pick, ‘La guerra nella cultura contemporanea’, Laterza, Bari Roma, 1994] [(1) Marx ed Engels, ‘Correspondence’, p. 100 (trad. it. vol. III, p. 149). Qualche mese prima Marx aveva sottolineato l’importanza dell’esercito: «La storia dell”Army’ mette in luce con maggior evidenza di qualsiasi altra cosa l’esattezza della nostra concezione del rapporto esistente tra le forze produttive e le condizioni sociali» (ivi, pp. 98-9 (ivi, p. 94)). Per un correttivo recente dell’idea che Marx ed Engels avessero (in un qualsiasi senso semplice) derivato le loro idee sulla guerra da Clausewitz, vedi Gat, ‘Clausewitz and the Marxists’. Gat vi sostiene che l’apparente affinità proviene non tanto da un’influenza diretta di Clausewitz, quanto dal fatto che tutti questi autori condividevano la medesima tradizione storicistica tedesca; (2) Vedi Clausewitz, ‘On War’, Penguin, 1986, p. 373 (trad. it. pp. 780-1): «Durante il XVIII secolo, all’epoca cioè delle campagne slesiane, la guerra era ancora un affare che interessava il solo governo. La nazione vi partecipava solo come cieco strumento. Al principio del XIX secolo, invece, le nazioni pesarono esse stesse sul piatto della bilancia (…). Per l’appunto le campagne del 1805, 1806, 1809 e quelle che le hanno seguite ci hanno molto agevolato il compito di trarre da esse il concetto del tipo di guerra moderna assoluta, nella sua energia frantumatrice. Vedi anche Howard, ‘The Influence di Clausewitz’]