“Ci dev’essere qualcosa di marcio nel cuore di un sistema sociale che accresce la sua ricchezza senza che diminuisca la sua miseria, in cui la criminalità cresce più rapidamente della popolazione. Vero è che se confrontiamo il 1855 con gli anni precedenti, sembra esserci stata una considerevole diminuzione della criminalità dal 1855 al 1858. Il totale delle persone rinviate a giudizio, che nel 1854 ammontava a 29.359, era calato a 17.855 nel 1858; e molto diminuito, anche se non nella stessa proporzione, era il numero dei condannati. Ma questa apparente diminuzione della criminalità, a partire dal 1854, va esclusivamente ascritta ad alcuni cambiamenti tecnici della giustizia britannica: in primo luogo alla legge sulla criminalità minorile, e in secondo luogo agli effetti della legge penale del 1855, che autorizza i funzionari di polizia a comminare, con il consenso degli interessati, brevi periodi di detenzione. Le violazioni della legge sono per lo più effetto di fattori economici che sfuggono al controllo del legislatore, ma, come dimostra con i suoi effetti la legge sulla criminalità minorile, dipende in certa misura dalle istituzioni sociali marchiare come crimini o come semplici infrazioni certe violazioni delle sue norme. Questa differenza di denominazione, ben lungi dall’essere irrilevante, decide del destino di migliaia di uomini e del clima morale d’una società. La legge stessa può non solo punire i crimini, ma crearli, e la legge dei giuristi di professione molto spesso agisce in questo senso. Così un illustre storico ha giustamente osservato che la Chiesa cattolica d’età medievale, con la sua tetra concezione della natura umana, ha esercitato il suo influsso sulla legislazione penale creando più crimini di quanti peccati non perdonasse” [Karl Marx, ‘Popolazione, criminalità, pauperismo’, New York Daily Tribune, 16 settembre 1859′ (pag 490) (in) Marx Engels, Opere. Volume 16. Scritti agosto 1858 – febbraio 1860, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 2020]