“Con l’amore che le dedicò per tutta una vita; Marx accettava del tutto l’idea predominante che in ogni aspetto della sua sua civiltà la Grecia fosse stata categoricamente diversa da – e superiore a – tutto ciò che era avvenuto prima nella storia (57). Ma Marx andava oltre – così come aveva fatto Shelley, e con la stessa chiarezza – e arrivava ad affermare che la Grecia sovrastava di molto la propria posterità. Una tale affermazione comportava però un problema: la Grecia veniva in tal modo ad opporsi alla corrente del progresso. In un tentativo di giungere a una soluzione, Marx scrisse nell’introduzione ai ‘Grundrisse’, abbozzo preparatorio di ‘Il capitale’ «Per l’arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, né quindi con la base materiale… Per esempio i Greci paragonati con i moderni, o anche Shakespeare». Era però cosciente del paradosso implicito nell’affermazione che «nella loro forma classica, nella forma che fa epoca… certe sue [dell’arte] importanti manifestazioni … sono possibili soltanto in uno stadio non sviluppato dell’evoluzione artistica». Marx continuava poi argomentando che la mitologia era impossibile una volta che fosse stata superata dalla realtà, come era avvenuto con i trionfi dell’industria capitalistica. Era però inflessibile nel sostenere che la mitologia era possibile soltanto in una società data, con proprie forme sociali distinte: «L’arte greca presuppone la mitologia greca, e cioè la natura e le forme sociali stesse già elaborate dalla fantasia popolare in maniera inconsapevolmente artistica. Questo è il suo materiale. Non una qualsiasi mitologia, cioè non una qualsiasi elaborazione inconsapevolmente artistica della natura… La mitologia egiziana non avrebbe mai potuto essere il terreno o la matrice dell’arte greca» (58). La mia interpretazione di questo oscuro passo, nella misura in cui riguarda il tema di questo libro, è questa: anche negli anni 1850, quando scrisse i ‘Grundrisse’ Marx era abbastanza consapevole del modello antico da dover considerare la possibilità che la mitologia greca – e quindi l’arte – non trovasse origine nei rapporti sociali della Grecia ma in Egitto. Se accettava questo, la sua tesi avrebbe perso ogni senso (59). Ed egli viveva in un’epoca in cui tutti erano fermamente convinti che la Grecia stesse categoricamente a sé, distinta e superiore all’Egitto. La distruzione del modello antico offriva quindi alla sua generazione quella libertà riguardo tale problema di cui non poteva disporre Hegel. Per Marx era possibile negare del tutto l’influenza egizia sulla Grecia” (pag 367-368-369) [Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica. Volume I. L’invenzione dell’antica Grecia, 1785-1985′, Pratiche editrice, Parma, 1992] [(57) Marx (1939, trad. it. 1968, vol. II, pp: 94-148; (58) Marx (1939, trad. it. 1968, vol. I, pp: 39-40; (59) Pur essendo convinto che la grande maggioranza dei temi mitologici greci provenissero dall’Egitto e dalla Fenicia, è altrettanto chiaro che la loro selezione e trattamento furono caratteristicamente greci, e in tal misura essi riflettevano la società greca]