“In un saggio di qualche anno fa (7), introducendo una raccolta dei principali scritti di Max Adler sul tema «il socialismo e gli intellettuali», Leonardo Paggi ha illustrato con grande acutezza le connessioni profonde di questo tema con l’insorgere della prima «crisi del marxismo» e con la parabola della ‘Bernstein-Debatte’. Rievocando in discussione i contenuti della teoria del socialismo elaborati dalla tradizione «centrista», Bernstein aveva messo in questione, consapevolmente, anche il fondamento teorico dello schema e la stessa ‘forma’ del marxismo kautskiano. A Kautsky non restava altra via di difesa che l’arroccamento intorno all’ ‘Endziel’, (fine ultimo, ndr), in ragione soprattutto del supporto che esso forniva alla ‘continuità’ della ‘forma partito’. Paggi ha anche sottolineato come, incalzato dalle critiche «revisionistiche», proprio sul tema degli intellettuali Kautsky imprimesse una forzatura «giacobina» alla propria concezione della «coscienza socialista», giungendo ad affermare (nello scritto del 1902) sulla ‘Revisione del programma della socialdemocrazia in Austria’: «Il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli ‘intellettuali borghesi’; anche il socialismo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari più intellettualmente dotati, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono. ‘La coscienza socialista è quindi qualcosa portato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno, e non qualcosa che ne sorge spontaneamente’» (8). Fra i meriti del saggio di Paggi vorrei annotare, di passata, la distinzione molto acuta fra questa posizione e quella solo in apparenza analoga della concezione leniniana del rapporto tra lotta economica e lotta politica, «spontaneità» e «coscienza» nella costituzione del movimento operaio. Ricostruendo tutta la differenza di approccio all’opera di Marx fra il «centrismo» tedesco e l’indagine leniniana (degli anni novanta) sugli sviluppi del capitalismo in Russia, Paggi ha posto in chiara evidenza i dati seguenti. Il primo ricavava – da una lettura pedissequa del ‘Capitale’ centrata sostanzialmente sul 1° volume e da una piatta identificazione dei campi teorici definiti dai concetti di «modo di produzione» e di «formazione economico-sociale» – da Marx una sociologia meccanicistica, che faceva capo allo schema teorico dianzi richiamato, incentrato sulla «crisi finale» e sulla «proletarizzazione». Lenin, per contro, impegnato ad analizzare la peculiarità della penetrazione e degli sviluppi del capitalismo in Russia, proprio dall’arretratezza di quel «terreno nazionale» di lotta era indotto ad un approccio ben diverso al ‘Capitale’, incentrato sulla teoria marxiana della ‘riproduzione del capitale complessivo sociale’. Lenin, dunque, procedeva da una distinzione ben articolata fra teoria del modo di produzione e indagine di una formazione economico-sociale determinata. «Si rende da qui possibile – una complessiva interpretazione ‘teorica’ di Marx che pone subito Lenin oltre quella scissione fra economia e società, che è stata giustamente indicata come tratto distintivo di tutto il marxismo della Seconda Internazionale». Lenin ne era consapevole, perlomeno limitatamente al confronto con le posizioni «revisionistiche». Il ‘Che fare?’ è indirizzato contro l’«economismo» e il «revisionismo» in generale, per quanto nei contenuti particolari si conformi alla necessità di combatterne le specificazioni russe (9). Sebbene egli non elaborasse tutta la portata della distinzione fra teoria del modo di produzione e ricognizione della formazione economico-sociale determinata, si può condividere l’osservazione conclusiva di Paggi, su questo punto: «Se Lenin e Kautsky convengono momentaneamente nell’idea che il socialismo debba essere portato dall’esterno, le motivazioni rispettive rimandano a due concezioni del marxismo, che sono fra di loro diverse negli stessi presupposti. ‘La diversità è quella che passa fra l’ ‘Endziel’ e il concetto di formazione economico-sociale» (10)” (pag 10-11) [Giuseppe Vacca, ‘Il marxismo e gli intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai «Quaderni del carcere»’, Editori Riuniti, Roma, 1985] [(7) L. Paggi, ‘Intellettuali, teoria e partito nel marxismo della seconda Internazionale’, introduzione al cit. volume di M. Adler; (8) Ivi, p. 71; (9) Si veda soprattutto la prefazione alla raccolta di scritti del 1914, ‘Dodici anni’, riprodotta da Vittorio Strada fra le appendici della edizione da lui curata e introdotta da Lenin, ‘Che fare?’, Torino, Einaudi, 1971, pp. 462-480; (10) L. Paggi, op. cit., p. 98]