“Gli anni d’oro dell’economia politica si chiudono con il 1850: «La borghesia aveva conquistato il potere politico in Francia e in Inghilterra. Da quel momento la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose. Per la scienza economica borghese non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o falso, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza (das bose Gewissen) e la malvagia intenzione dell’apologetica (die schlechte Absicht der Apologetik)…” (31). Le condizioni materiali per una «indagine scientifica spregiudicata» sono dunque, per Marx: 1. l’emergere di una classe che, nella sua lotta per la conquista del potere politico, rappresenta anche altre classi. È questo il caso della borghesia in Francia e in Inghilterra fra il 1815 e il 1830 (o, al massimo, fra il 1815 e il 1848). Le due rivoluzioni che coronarono l’ascesa della borghesia chiusero anche per sempre il ciclo della sua creatività scientifica. Negando che la storia tedesca debba ripercorrere le medesime tappe di quella francese e inglese, qui Marx corregge (ci sembra, in meglio) la notissima affermazione contenuta nella prefazione alla prima edizione del ‘Capitale’ (1867), secondo cui «de te [Germania] fabula narratur» (32). Il proletariato tedesco – per Engels, «l’erede della filosofia classica tedesca» (33) – incarna ‘fin d’ora’ la classe sociale nel cui interesse la «critica dell’economia politica» deve essere svolta. Va detto che la scienza economica – come del resto la storia politica! – nei paesi di lingua tedesca conobbe un ‘iter’ evolutivo in parte differente da quello immaginato da Marx. Se è vero, infatti che il marxismo teorico e l’economia marxista dopo la morte dei due fondatori si presentano ricchi di personalità di rilievo – da Kautsky alla Luxemburg, da Bernstein a Bortkiewicz, da Conrad Schmidt a Hilferding -, indirettamente beneficiando di un lungo periodo di (relativa) stabilità sociale nel ventennio a cavallo fra i due secoli, è vero anche che la scienza economica borghese non si attestò, in Germania, sulle posizioni della vecchia e, per Marx, famigerata «scuola storica» di Wilhelm Roscher (34). Negli anni Settanta, poco dopo l’uscita del I libro del ‘Capitale’, nasceva con Menger, Wieser e Boehm-Bawerk quell’indirizzo marginalistico che non solo ruppe definitivamente con la tradizione classica, ma anche in qualche modo cercò di influenzare lo stesso pensiero marxista «revisionista» (si pensi in Italia a Enrico Leone e Antonio Graziadei (35)” (pag 65-66) [Riccardo Faucci, ‘Marx interprete degli economisti classici. Una lettura storica’, La Nuova Italia, Firenze, 1979] [(31) Marx (1873), in Marx (1867), I, p. 40. Cfr anche Meek (1967), tr. it., in Faucci-Pesciarelli (1976), pp. 241-42. Almeno in questa sede, Marx mostra di non identificare la crisi dell’economia classica con la crisi del ricardismo, come sembra intendere Blaug (1958), p. 225; (32) Cfr. Marx (1867), vol. I, p. 32; (33) Engels (1888), tr. it., p. 78; (34) L’opera del fondatore della «scuola storica» tedesca Wilhelm Roscher (1817-94) è più volte presa di mira, specie nelle parti storiche del I libro del ‘Capitale’. Cfr. Marx (1867), I, p. 408 n. e passim. Quello di Roscher è anzi considerato l’estremo decadimento dell’economia borghese, che con lui abbandona «l’apologia appassionata» di un Bastiat per assumere una grigia veste «professorale». Cfr. Marx (1861-63), vol. III, p. 520. L’economista tedesco più moderno considerato da Marx è lo scienziato della finanze Adolph Wagner (1835-1917), vicino ai «socialisti della cattedra» e critico di Marx. Cfr. Marx (1881-82), pp. 167-83; (35) Cfr. Zagari, a c., di , (1975)]
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- Articolo pubblicato:13 Maggio 2025