“Lo stato borghese, dunque, nonostante il nome, non è più liberale di quello proletario; quanto allo stato proletario, esso non è liberale ma à l’unica via possibile per il raggiungimento finale dello stato di libertà (che coincide con l’estinzione dello stato). Con questi due argomenti si concede agli avversari il valore del fine, ma li si mette in guardia sul disvalore del mezzo che essi hanno messo in atto per raggiungerlo. E, fermo restando il fine (almeno apparentemente), si contrappone il mezzo idoneo al mezzo inidoneo. Questa tesi si fonda sull’opposizione dei due concetti di ‘stato’ e ‘libertà’, considerati come escludentisi reciprocamente. Essa è, rispetto alla tradizione marxistica, quella più ortodossa e ha il merito della chiarezza. Si trova esposta in un celebre passo della lettera di Engels a Bebel (18 marzo 1875) a proposito del Programma di Gotha: «Non essendo lo stato altro che un’istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno «stato popolare libero» è ‘pura assurdità’; finché il proletariato ha ancora ‘bisogno’ dello stato, ne ha bisogno ‘non nell’interesse della libertà’, ma nell’interesse dell’assoggettamento dei suoi avversari, e ‘quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo stato come tale cessa di esistere’ (7). Ripresa da Lenin, il quale ammira Engels per aver colpito implacabilmente «l’assurdo accoppiamento delle parole “libertà” e “stato”», la tesi viene interpretata nel suo significato pregniante di alternativa tra stato e libertà: «Finché esiste lo stato non vi è libertà; quando regnerà la libertà non vi sarà più stato» (8)” (pag 154-155) [Norberto Bobbio, a cura di Franco Sbarberi, ‘Politica e cultura’, G. Einaudi, Torino, 2005] [(7) ‘Il partito e l’Internazionale’, Rinascita, Roma, 1948, p. 251; (8) ‘Stato e rivoluzione’, in ‘Opere scelte’, cit., t. II, p. 191]
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- Articolo pubblicato:13 Maggio 2025