“Si può lasciar da parte qui quel che già la semplice esistenza naturale dell’individuo è mediata dal genere e quindi dalla società: ma «individuo» in senso specifico vuol dire qualcosa di più, che non è affatto il singolo ente biologico. Esso sorge, in certo senso, in quanto pone se medesimo ed eleva il suo esser-per-sé, la sua unicità, a propria vera determinazione. In passato il linguaggio filosofico e il linguaggio comune indicavano tutto ciò col termine «autocoscienza», «senso di sé» (24). Individuo è solo chi differenzia sé dagli interessi e mire di altri, si fa sostanza a se medesimo, instaura come norma la propria autoconservazione e il proprio sviluppo. E non per caso il termine «individuo» viene a designare il singolo uomo solo verso il XVIII secolo, e la cosa non è molto più antica della parola: incomincia ad esistere poco prima del Rinascimento. La grandiosa novità della poesia del Petrarca è stata vista a ragione nel destarsi in lui per la prima volta dell’individualità (25). Ma proprio questa autocoscienza del singolo, che sola ne fa un individuo, è un’autocoscienza sociale; e val la pena di ricordare qui che proprio la concezione filosofica dell’«autocoscienza» sorpassa l’individuo «astratto», per sé, e conduce alla mediazione sociale. L’autocoscienza è bensì, secondo la celebre definizione di Hegel, «verità della certezza di se stessa», ma «raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza» (26). L’individuo sorge solo in questa relazione di un’autocoscienza a un’altra, e sorge come nuova autocoscienza; così pure l’universale, la società come unità delle monadi, in cui «l’io è il noi e il noi, l’io» (27). Anche l’idea che l’individuo giunge a se medesimo solo in quanto si aliena non rimane ristretta in Hegel alla sfera della coscienza come contemplazione, ma si applica al lavoro diretto a soddisfare i bisogni vitali: «il lavoro dell’individuo per i suoi bisogni è altrettanto soddisfazione dei suoi bisogni che dei bisogni degli altri, e la soddisfazione dei suoi bisogni è raggiunta da lui solo attraverso il lavoro degli altri» (28). Questo motivo hegeliano ritorna fedelmente in Marx: «L’uomo Pietro si riferisce a se stesso come a uomo soltanto mediante la relazione coll’uomo Paolo come proprio simile» (29)” (pag 58-59) [Max Horkheimer Theodor W. Adorno, ‘Lezioni di sociologia. Istituto per la ricerca sociale di Francoforte’, Einaudi, Torino, 1966] [(24) I due concetti sono espressi dalla voce “Selbstbewusstein” anche nel tedesco moderno, sebbene a diversi livelli del linguaggio (ndt); (25) Il termine “individualismo” fu usato dapprima dai sansimoniani per caratterizzare, in contrapposizione a “socialismo”, l’economia della concorrenza. La teoria compiuta dell’individualismo in senso proprio implica la tesi liberale del servizio all’interesse generale prestato di per sé dal singolo che persegue i suoi interessi particolari. La storia di quest’idea è stata ricostruita da Alexander Rüstow, ‘Das Versagen des Wirtschaftsliberalismus als religionsgeschichtliches Problem’ (‘Il fallimento del liberalismo come problema di storia religiosa’), Istanbul, 1945). Il Rüstow ricorda alcune formulazioni caratteristiche di questo “individualismo” (…); (26) Hegel, ‘Werke’, cit., 2, p. 146 (cfr. ‘Fenomenologia dello spirito’, trad. De Negri, Firenze, 1960, vol. I, p. 151); (27) Ibid., p. 147 (cfr. ed. it. cit., p. 152). Cfr anche Werke, 7, § 182 e Aggiunta ai §§ 182 e 184 (‘Lineamenti di filosofia del diritto’, trad. it. F. Messineo, Bari, 1954, pp. 164 e 352-53); (28) Hegel, Werke, cit., 2, p. 274 (Cfr, ‘Fenomenologia’, cit., p. 295). Cfr. Marx, ‘Das Kapital’, Berlin, 1951, vol. I, p: 113 (Il Capitale, trad., cit., p. 140); (29) Marx, op. cit., p. 57 (trad. cit., p. 86)]