“Un secondo gruppo di citazioni, tratte dalla sezione del primo libro del ‘Capitale’ dedicata a “macchine e grande industria”, costringe ad articolare diversamente il discorso, e impedisce di arrivare a semplificazioni affrettate. Lasciando la sfera della circolazione (“un vero ‘Eden’ dei diritti innati dell’uomo”: Op. cit., I, 1, p. 193), per accostarsi a quello della produzione, Marx è costretto a lasciarsi alle spalle non solo “tutte le idee giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di produzione capitalistico, tutte le sue illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere apologetiche dell’economia volgare” (Op. cit., I, 2, p. 257), ma anche a rivedere alcuni pregiudizi sulla vita quotidiana nel suo rapporto con la scienza (almeno quello ‘di parte operaia’, che più interessa ‘a lui’ e a noi). Marx entra nell’inferno della fabbrica, dove sembra, non ci sia ormai “da aspettarsi altro che la …’conciatura’” (Op. cit., I, 1, p. 194). Qui lo scienziato deve lottare anzitutto non solo con “l’appestamento dell’aria” e il “puzzo insopportabile” (Op. cit, I, 2, p. 179), ma contro alcuni giudizi inveterati, che gli derivano dal suo ruolo sociale separato. Primo fra tutti forse quello che identifica la pratica spontanea, le lotte quotidiane degli operai con l’ ‘ideologia’ a cui contrapporre una “scienza oggettiva”. Fortunatamente Marx non è un allievo dell’ ‘école parisienne’, e non ha letto ‘Lire le Capital’: per lui la lotta quotidiana non è un ‘pregiudizio’, ma un filo rosso per interpretare dal punto di vista operaio il capitale. Una lezione esemplare ci viene dall’analisi della lotta fra operaio e macchina: “Ci vuole tempo ed esperienza affinché l’operaio apprenda a distinguere le ‘macchine’ dal loro ‘uso capitalistico’, e quindi a trasferire i suoi attacchi dal ‘mezzo materiale di produzione stesso’ alla ‘forma sociale di sfruttamento’ di esso” (Ivi, p. 136). Tempo ed esperienza insegnano all’operaio che se “il mezzo di lavoro” lo “schiaccia” (Ivi, p. 139) non è certo “la macchina ‘in sé’ (Ivi, p. 149) la responsabile della sua schiavitù o della sua “liberazione”, bensì il suo “‘uso capitalistico’” (Ivi, p. 150). Le lotte quotidiane insegnano all’operaio ciò che all’economista, “impigliato nei rapporti di produzione borghesi”, restava nascosto: qui il feticismo ha un rovescio potente nella materialità dei comportamenti e del pensiero quotidiano di parte operaia! Infatti: “l’economista borghese dichiara semplicemente che la ‘considerazione delle macchine in sé’ dimostra con la massima precisione che tutte quelle tangibili contraddizioni sono una pura e semplice ‘parvenza’ della ordinaria realtà, ma che ‘in sé’, e quindi anche nella ‘teoria’, non ci sono affatto. Così risparmia di doversi ulteriormente stillare il cervello, e per giunta addossa al suo avversario la sciocchezza di combattere non l’ ‘uso capitalistico delle macchine’, ma le ‘macchine stesse'” (Ivi, p. 150). Qui la scienza è costretta, incalzata nella lotta dell’avversario, a mistificare il rapporto ordinario col pensiero quotidiano, ma nella lotta i ruoli si invertono e il ‘pregiudizio ideologico’ cade stavolta dalla parte della scienza” (pag 48-49) [Amedeo Vigorelli, ‘Pensiero quotidiano e scienza in Marx. Appunti’, Aut Aut, Milano, n. 161, settembre-ottobre 1977 pag 45-51]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:6 Dicembre 2024