“Negli anni finali del XIX secolo, Marx fu letto e commentato maggiormente, numerose sue opere vennero stampate; le sue traduzioni non presentarono errori clamorosi: basti pensare alla pregevole edizione di Gerolamo Boccardo del ‘Capitale’, con versione dal francese, nella «Biblioteca dell’Economista» (lodata da Engels, quando la conobbe), alle traduzioni di Martignetti e, non tanto alle popolari collane della «Critica Sociale», quanto a editori veri e propri, come il palermitano Remo Sandron o il milanese Mongini (27). Tutto questo ‘corpus’ ideale e bibliografico corrispondeva d’altronde a quanto accadeva nella vita intestina e nel dibattito dell’Internazionale ed era improntato di volta in volta, congiuntamente, dagli imperanti ricorsi all’ortodossia kautskiana, al positivismo e al socialdarwinismo (28). Frammisti a essi, i contributi originali di Labriola impallidirono o, per ricordare la celebre tesi di Croce successiva al dibattito sulla crisi del marxismo, ripresa più volte dal filosofo, preannunciarono la morte precoce del «marxismo teorico» dopo una stagione di entusiasmi (29). Gli studiosi dei precursori e della nascita del marxismo fecero e continuano a fare i conti con la questione dell’incidenza del marxismo di Turati nell’opera di fondazione e del potenziamento del Partito socialista e, in seconda istanza, con il dilemma della fragilità congenita che segnò, fino alla guerra modniale, malgrado gli interventi di Labriola, il marxismo-socialismo italiano. Al centro di esso, con significato che andò oltre il mero fatto organizzativo, furono infatti il contrasto, la divisione, le opposte valutazioni ideali e progettuali di Turati e Labriola, pur riconoscendosi entrambi nell’esperienza germanica, motivo persistente sia di divergenze sia di entusiasmi. Sgombrata la vicenda dagli appannamenti ideologici più evidenti appaiono i meriti e i limiti tanto di Turati che di Labriola. Entrambi furono essenziali per la nascita e il decollo del socialismo, che fu più confuso e meno organico ma anche più aperto e perfino socialmente più dinamico della fonte ispiratrice tedesca, accogliendo quanto ripetutamente Michels ebbe a riscontrare. Ma è essenziale riconoscere sia la carenza teorica, imputabile a Turati sia la rigidità, anticipante talune argomentazioni leniniane, identificabile in Labriola. Per quanto riguarda la «debolezza», il fenomeno si manifestò prevalentemente nel rapporto col dibattito marxista nella Seconda Internazionale. È sufficiente sfogliare, da un lato, la turatiana «Critica Sociale», da un altro, la kautskiana «Die Neue Zeit», i bernsteniani «Sozialistische Monatshefte», i «Dokumente des Sozialismus» o le riviste dell’austro-marxismo, nel campo storiografico l’ «Archiv für Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung» di Carl Grünberg, che per tanti aspetti anticipò la visione della «marxologia» prospettata 60-70 anni più tardi da Maximilien Rubel negli «Études de Marxologie» (30). Il socialismo in Italia – è evidente – si sviluppò con forza intellettuale, emotiva e organizzativa e con rapidità, mentre il marxismo, malgrado Labriola, incise solo sull’epidermide della società, donda la sua gracilità. Furono molteplici le cause: il settoriale ritardo economico del paese e gli accesi contrasti nello sviluppo; il rapporto estretto, intimo addirittura, prima coi socilisti della cattedra e poi col positivismo; l’influenza industrialista nel Settentrione e il conseguente operaismo economistia, il radicmento nelle campagne, sempre del Centro-Nord, di un forte cattoliceismo con aperture sociali; il provincialismo di tanta parte del dibattito culturale, sia pubblicistico che accademico; infine, la presenza – a più riprese sottolineata – di un ribellismo antagonista ed estremiste (31). A questo si aggiunsero le insufficienze comuni del marxismo internazionale: i ritardi sulla «questione agraria» (l’indagine specifica di Kautsky, apparve nel ’99), sensibile per la Germania ma decisiva per l’Italia (32), quindi la ricezione preminente dell’influenza tedesca e l’imprecisa conoscenza del multiforme dibattito internazionalista, francese, inglese, americano, olandese e russo. Mancò altresì ai marxisti e socialisti italiani uno studio sistematico e radicale sulla preminenza della formazione economica e sociale del capitalismo: analisi che invece lo stesso Engels fece fin dal 1845 in ‘La situazione della classe operaia in Inghilterra’ (pensando non solo al Regno Unito ma specie alla Germania) e che Lenin predispose nel 1899 per la Russia zarista con ‘Lo sviluppo del capitalismo in Russia (33)” (pag 105-106) [Gian Mario Bravo, ‘Marx e il marxismo nella prima sinistra italiana’, (in) Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia’, Manifesto-Libri, Roma, 2005, a cura di Marcello Musto] [(27) Rinvio al ‘Mongini’, cit. di E. Gianni e a ‘Remo Sandron, Palermo, Catalogo delle pubblicazioni del periodo comprendente l’attività di R. Sandron (dal 1873 al 1925) e quella dei suoi eredi fino al 1943’, Sandron Editore, Firenze, 1997; (28) Favilli, ‘Storia del marxismo italiano’, cit., pp. 178-202, 202-244, 244-258 (Il «corpus» marxista di fine secolo’); (29) Benedetto Croce, ‘Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia, 1893-1900. Da lettere e ricordi personali’, Laterza, Bari, 1938; (30) Bruno Bongiovanni, ‘Rubel, Marx e il bonapartismo’, in Manuela Ceretta, a cura, ‘Bonapartismo, cesarismo e crisi della società. Luigi Napoleone e il corpo di Stato del 1851’, Olschki, Firenze, 2003, pp. 123-141, e Gianfranco Ragona, ‘Maximilien Rubel (1905-1996). Etica, marxologia e critica del marxismo’, Franco Angeli, Milano, 2003; (31) Si richiamano i titoli menzionati sul socialismo e quelli, risalenti a tempi diversi, sull’anarchismo. Cito due «classici»: Max Nettlau, ‘Bakunin e l’Internazionale in Italia dal 1864 al 1872’, Ediz. del Risveglio, Ginevra, 1928 (reprint, Roma, La Nuova Sinistra, 1970; Nello Rosselli (a cura di Leo Valiani), ‘Dodici anni di movimento operaio in Italia, 1860-1872 (1927), Einaudi, Torino, 1967. Si possono anche associare i volumi molto descrittivi di Pier Carlo Masini, ‘Storia degli anarchici italiani’, Rizzoli, Milano, 1974-1981, 2 voll.; (32) Karl Kautsky, ‘La questione agraria’ (1899), a cura e con introduzione di Giuliano Procacci, Feltrinelli, Milano, 1959; (33) In Italia, un analogo studio storiograficamente maturo è edito nel 1971: Stefano Merli, ‘Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano, 1880-1900’, La Nuova Italia, Firenze, 1972, 2 voll.]