“Come ha giustamente rilevato Guastini, «Il filo conduttore dei lavori di Kelsen sul marxismo è altresì il filo conduttore di tutta l’opera teorica, giuridica e politica kelseniana: la rigorosa distinzione tra ciò che è e ciò che deve essere; tra discorsi intorno alla realtà e discorsi intorno ai valori; tra la descrizione della realtà e la valutazione di essa; tra la spiegazione causale del mondo com’è, e la progettazione (o, in senso lato, prescrizione di un mondo ideale a venire; tra il futuro probabile e il futuro desiderato» (8). Se questo è vero, occorre tuttavia rilevare come tale unitarietà si sia tradotta in un combattimento su due fronti. Kelsen, infatti, critica la commistione tra teoria e valori non soltanto nei confronti del marxismo, ma anche nei confronti della teoria liberale del diritto, e del diritto liberale positivo. Questa duplice critica appare chiara proprio nei testi dedicati all’analisi della teoria marxista del diritto, dal momento che Kelsen rimproverava anzitutto a Marx e ai teorici marxisti di essere caduti nello stesso errore della teoria borghese, confondendo anch’essi tra contenuto e validità del diritto e fallendo dunque nello scopo di criticarla: di criticare il sincretismo metodologico – tra forma del diritto e contenuti ideologici capitalistici – che ne costituisce il cuore. La teoria marxista dello Stato fallisce dunque, secondo Kelsen, non solo nei suoi contenuti propri – anch’essi sincretistici: dittatura del proletariato ed estinzione dello Stato – ma anche in quell’opera di demistificazione che, invece, la stessa dottrina pura del diritto andava compiendo nei confronti della teoria borghese (9). Che al centro dell’opera kelseniana stia non un’accademica ricerca della purezza teorica, ma questa lotta su due fronti, è dimostrato dal fatto che essa innerva un testo come la ‘Allgemeine Rechtslehre im Lichte materialistischer Geschichtsauffassung’ del 1934, costituendone l’ideale premessa. Kelsen insiste, in quest’opera, sul fatto che il riconoscimento, proprio della dottrina pura del diritto, dell’identità tra lo Stato, inteso come ordinamento coercitivo, e l’ordinamento giuridico, dissolve quel dualismo di Stato e ordinamento giuridico che costituisce il nucleo dell’ideologia politico-statualistica e della teoria borghese del diritto e dello Stato. Tale dualismo, infatti, «produce una funzione ideologica di straordinaria importanza, difficilmente sopravvalutabile poiché consente al diritto di «giustificare lo Stato che genera questo diritto e che gli si sottomette», dal momento che «il diritto può giustificare lo Stato soltanto se viene presupposto come un ordinamento diverso per essenza dallo Stato, opposto alla sua natura originaria, al potere, e perciò come un ordinamento in un certo senso ‘giusto’». Così, «lo Stato da nudo fatto di potere diviene Stato di diritto» (10). Per contro, l’identificazione tra Stato e diritto compiuta dalla dottrina pura impedisce di giustificare lo Stato tramite il diritto, rendendo «inservibile il tentativo di legittimare lo Stato come Stato di diritto, poiché ogni Stato sarà necessariamente uno Stato di diritto, se il diritto (…) non è nient’altro che un ordinamento coercitivo del comportamento umano sul cui valore morale o di giustizia non si afferma così nulla» (11). Perciò Kelsen sottolinea come la «dissoluzione metodologico-critica del dualismo Stato-diritto» è la più efficace «distruzione, senza alcun riguardo, della ideologia della legittimità». Un’efficacia dimostrata proprio dalla «veemente resistenza» che «la teoria borghese del diritto e dello Stato» (12) oppone a questo esito della dottrina pura” (pag 157-158) [Mario Dogliani, ‘Kelsen’ (in) Franco Sbarberi, ‘La forza dei bisogni e le ragioni della libertà. Il comunismo nella riflessione liberale e democratica del Novecento’, Diabasis, Reggio Emilia, 2008] [(8) R. Guastini, ‘Introduzione’ a H. Kelsen, ‘La teoria politica del bolscevismo’, cit., p. 9; (9) «Si deve ribattere contro Pasukanis al pari che contro gli ideologi borghesi del diritto che egli scambia il contenuto del diritto con la validità del diritto (…). La teoria borghese del diritto si oppone con parole d’effetto tanto a buon mercato quanto vuote alla richiesta di una netta separazione tra contenuto e validità del diritto, dicendo che ciò è sterile formalismo (…). Ciò che sorprende è d’incontrare in sua compagnia un marxista, il cui compito dovrebbe pur essere di svelare la funzione ideologica del sincretismo metodologico. Se si rimane teoricamente nello stesso terreno dell’ideologia giuridica borghese, allora dovrà però fallire il tentativo di criticarla marxisticamente» (H. Kelsen, ‘La teoria generale del diritto e il materialismo storico’, introduzione e traduzione di F. Riccobono, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1979); (10) H. Kelsen, ‘La teoria generale del diritto e il materialismo storico’, cit., pp: 168-169; (11) Ibidem, pp. 170-171; (12) Ibidem, p. 171]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:3 Aprile 2025