“Nell’analisi dello ‘Sviluppo delle contraddizioni intrinseche della legge’ della «caduta tendenziale del saggio di profitto» Marx si trova dinanzi al problema della rottura dell’equilibrio di crescita del processo di produzione capitalistico e, quindi, assai vicino all’analisi delle condizioni strutturali della guerra, nella fase più avanzata dello sviluppo del mercato moderno. La tesi che Marx sostiene in questa sezione del III volume del ‘Capitale’ è ampiamente nota ed è stata più volte discussa. La richiamo solo per il versante che ritengo utile per il mio discorso. I limiti – secondo Marx – entro i quali può essere ritenuto possibile lo sviluppo del sistema economico capitalistico sono quelli dati dalla remunerabilità dell’investimento di denaro. Nella fase in cui lo sviluppo delle tecnologie necessarie a rendere la produzione competitiva e concorrenziale sul mercato internazionale si traduce in un aumento crescente dell’investimento rispetto alla quota di remunerabilità percentuale, che viene ricavata dall’investimento stesso, il capitale si immette in un ciclo di crisi rispetto al quale si possono attivare controtendenze provvisorie e precarie. La legge – che Marx considera valida solo come indicatore di tendenza – individua, come effetto certo, una divaricazione tra due teleologie che per una lunga fase marciano unite nella storia del moderno: quella del processo di lavoro e quella del processo di accumulazione. Il capitalismo ha messo a punto un sistema produttivo capace di moltiplicare vertiginosamente la ricchezza complessiva di un sistema sociale. Ha prodotto lo sviluppo tecnologico e produttivo, che ha moltiplicato i beni disponibili per il consumo, li ha trascinati per il mondo universalizzando la struttura del mercato, ha costituito le condizioni della emancipazione di intere aree del mondo dalla fame e dalla malattia. Ha sviluppato saperi che sono ormai in grado di ridurre il tempo di lavoro necessario ad una intera società per produrre la propria riproduzione vitale. La crisi apre una forbice improvvisa tra questo processo e l’accumulazione del denaro. Il capitale diventa improvvisamente indifferente al progresso delle condizioni di vita, si contrappone sempre più rigidamente ad esso. Si fa ostacolo alla propria espansione. Scrive Marx: «Si manifesta qui nuovamente il limite specifico contro cui urta la produzione capitalistica e si dimostra chiaramente come essa non solo non rappresenti la forma assoluta per lo sviluppo delle forze produttive e della produzione della ricchezza, ma debba necessariamente, ad un certo punto, trovarsi in conflitto con questo sviluppo» (19). Il paradosso sta proprio in questo carattere della crisi: è lo sviluppo della produzione della ricchezza che distrugge la soggettività (il capitale) che ha storicamente capovolto le condizioni di miseria del mondo. È difficile immaginare un antagonismo così radicale e un conflitto tanto evidente” (pag 170-175) [Franca Papa, ‘Tre studi su Kant’, Lacaita editore, Manduria, 1984] [(19) K. Marx, ‘Il Capitale’, III, trad. M.L. Boggieri, Editori Riuniti, Roma, 1965, p. 318. I passaggi che prendo in esame sono stati al centro di un ampio dibattito sulla crisi del Capitalismo tra anni Venti e anni Trenta. Per una ricostruzione di questo dibattito si vedano le pagina di G. Marramao, ‘Il politico e le trasformazioni’, De Donato, Bari, 1979, che contiene anche tutta la bibliografia indispensabile per la conoscenza di questa fase della storia del marxismo. Su alcuni aspetti del problema vedi anche i miei due saggi: ‘Henryk Grossmann: La teoria delle crisi tra il 1873 e il 1929’, in ‘Critica marxista’, n. 4-5, e ‘L’altra Germania: saggio sulla Berrnstein-debatte’, Dedalo, Bari, 1981]