“In tutti gli scritti e gli interventi da Lenin dedicati a tale problema [la questione nazionale, ndr] si avverte la consapevolezza della possibilità e della necessità di collegare la questione nazionale con la lotta rivoluzionaria della classe operaia tanto da fare della rivendicazione della indipendenza nazionale un aspetto decisivo del processo di trasformazione della classe operaia in classe dominante. Non per caso Lenin ritornerà così spesso sulla affermazione di Marx «gli operai non hanno patria», per svilupparne tutte le implicazioni circa la posizione della classe operaia nell’età dell’imperialismo (6). In uno studio recente uno storico sovietico, M. Gefter, trattando con notevole acume del rapporto tra Lenin e Plechanov, ha fornito numerosi spunti per una impostazione più generale di questo problema: «Tanto il giovane Lenin quanto il Lenin della maturità restò fedele alla fondamentale idea delle ‘Nostre divergenze’: nessuna specificità storica di un dato paese può esentarlo dalle leggi “sociologiche” generali. Ma ciò che che in Plechanov era tutta la verità, in Lenin era soltanto una parte della verità. Se il compito da lui impostato già negli anni ‘novanta’ era l’analisi della “realtà concreta” e “storicamente specifica” della Russia della riforma, il lavoro intellettuale che procedeva in questa direzione condusse a mutare il compito stesso che in definitiva divenne questo: spiegare, valutare, unificare tutto ciò che la realtà storica specifica apporta alle leggi generali, ivi compresa l’attività degli uomini di scendere in lotta per cambiare la realtà» (7). Comunque, nulla esprime meglio la posizione di Lenin verso la II Internazionale, intesa come teoria politica oltre che come pratica sociale, dell’evolversi del suo atteggiamento verso il suo “partito-guida”, e cioè la socialdemocrazia tedesca. Le espressioni di ammirazione verso questo partito, addirittura l’indicarlo a modello nel movimento operaio internazionale, traversano ininterrottamente tutti gli scritti di Lenin, dalla formazione del Partito operaio socialdemocratico russo (1898), chiaramente e dichiaratamente esemplato sul programma di Erfurt della SPD (1891), sino ai necrologi dei due presidenti della SPD, Paul Singer (1911) e August Bebel (1912), che hanno il carattere di giudizi storico-politici, relativi ad un lungo periodo della storia del movimento operaio internazionale. Le critiche a determinate correnti politiche e intellettuali della socialdemocrazia tedesca, presenti in Lenin fino dagli anni della ‘Bernstein-Debatte’ ma accentuatesi dopo la posizione opportunistica assunta dalla maggioranza della delegazione tedesca sulla questione della pace e della guerra al Congresso internazionale di Stoccarda (1907), non intaccarono in misura sostanziale, né nelle manifestazioni pubbliche né nelle espressioni private o confidenziali il giudizio di Lenin complessivamente positivo e ammirativo, che guardava al carattere avanzato come formazione organizzata e di massa che la socialdemocrazia tedesca rivestiva  nel movimento operaio internazionale. Anche quando, proprio all’immediata vigilia della guerra, le sue critiche, che investivano ormai il “centrismo” kautskiano, si intensificarono in ampiezza, quella valutazione poteva persistere, ed essere addirittura sottolineata, indice di tutto quel lavoro di reinterpretazione e di reinvenzione della natura e dei compiti cominciato a compiere col ‘Che fare?’ e che non avrà, in sostanza, soluzione di continuità: «Praticamente i tedeschi hanno ‘due partiti’ – scriveva Lenin nell’aprile 1914 – e se ne deve tener conto senza proteggere affatto gli opportunisti (‘come fanno adesso la ‘Neue Zeit’ e Kautsky’). Dire però che il ‘partito’ tedesco è il più opportunista in Europa non è esatto. Esso è comunque il migliore, e il nostro compito è quello di assimilare ‘tutto’ ciò che di buono hanno i tedeschi (il gran numero di giornali, la massa degli iscritti al partito, e dei membri che militano nei sindacati, gli abbonamenti sistematici ai giornali, il controllo rigoroso sui parlamentari; quest’ultimo è comunque il ‘migliore’ che non presso i francesi e gli italiani, per non parlare dell’Inghilterra, ecc.); di assimilare tutto questo ‘senza’ incoraggiare gli opportunisti» (XLIII, 351) (8). Tratto saliente dell’evolversi del giudizio e dell’atteggiamento di Lenin verso la socialdemocrazia tedesca come “partito-guida” della II Internazionale è il suo rapporto con Kautsky. Com’è noto, altissima fu la valutazione data da Lenin di tutti i principali scritti teorici e politici di Kautsky,  da ‘La questione agraria’ (1897), definita «dopo il terzo volume del ‘Capitale’ l’avvenimento più notevole nella più recente letteratura economica» (III, 5) all”Antibernstein’ che Lenin recensì con molto calore, su su fino a ‘La via al potere’ (1909), indicata a più riprese come l’opera più matura del Kautsky rivoluzionario. D’altra parte, Lenin non nascose, almeno a partire dal 1904, le sue critiche alla posizione assunta da Kautsky, sostanzialmente filo-menscevica, nelle questioni interne al partito operaio socialdemocratico russo” [Ernesto Ragionieri, Lenin e l’Internazionale’, (estratto), Critica marxista, Roma, 1970] [(6) Le variazioni di Lenin intorno a questo tema; prima e durante la guerra imperialistica meriterebbero uno studio a parte. Per la questione nazionale nella II Internazionale si veda (…) Carlo Pinzani, ‘Jean Jaures, l’Internazionale e la guerra’, 190; (7) M. Gefter, “Aspetti della teoria leniniana dell’egemonia proletaria”, in ‘Rassegna sovietica’, XX, ottobre-novembre 1969, p. 39; (8) (…) Sui rapporti tra Lenin e il movimento operaio tedesco, cfr. Arnold Reisberg, ‘Lenins Beziehungen zur deutschen Arbeiterbewegung’, Berlin, 1970] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]