“In effetti, se nell’ultimo decennio che gli resta da vivere, Trotskij insisterà a precisare il significato autentico della «rivoluzione permanente», non lo fa tanto per ribattere le accuse e offrire una ennesima conferma della genuina continuità che lo lega a Lenin, quanto per sottolineare che la pesante rottura col leninismo e tutta la tradizione bolscevica ricade interamente su Stalin, colpevole di aver scelto, e imposto al partito, la scorciatoia «reazionaria» del cosiddetto «socialismo in un paese solo». Lo si avverte in modo persuasivo soprattutto leggendo le pagine scritte a Alma Ata, e fatte conoscere in occidente attraverso le due edizioni americana e francese – del 1931 e del ’32 (38), dove è contenuta l’analisi più ampia e chiarificatrice della teoria, che per i nemici di Trotskij «costituisce il peccato originale del trotskismo» (39). Trotskij non ricorre ai mezzi termini né alle eleganti perifrasi per colpire l’inconsistenza ideologica dei suoi accusatori. Tutt’altro: dice subito, per esempio, che «leggendo il ‘Leninismo’ di Zinoviev si ha l’impressione di soffocare inghiottendo ovatta, mentre le ‘Questioni del leninismo’ di Stalin fanno l’effetto di setole di porco sminuzzate» (40). E quando si mette a ricordare alcuni passi dei propri scritti, dal primo ‘900 fino al ’17 (e più tardi ancora), non lo fa per un puro gusto filologico, ma lo fa col preciso intento di colpire le interpretazioni volutamente equivoche, sleali e grossolane, che permettono ai vari Stalin e Zinoviev, Kamenev e Rykov, Radek e Molotov di costruire i falsi manichini del leninismo e del trotskismo, fino a renderli due concezioni politiche inconciliabili, e avere così facile gioco nel dichiararsi gli unici continuatori «ortodossi» e nel mettere al bando l’ex capo dell’esercito rivoluzionario durante la guerra civile. «Cercar di scoprire due punti di vista – uno mio e uno di Lenin – è il colmo della disinvoltura teorica», esclama Trotskij a un certo punto, aggiungendo con sprezzante fermezza: «almeno rileggete Lenin, e non calunniatelo, non ingurgitate la fredda brodaglia di Stalin!» (41). E per mettere bene in testa a quanti volessero ancora far credere al «socialismo nazionale di Stalin» (43) che anche il Komintern aveva ormai rinunciato all’obbiettivo di un serio internazionalismo, capace di estendere a livello mondiale una coraggiosa politica di lotta di classe, ribadisce il suo convincimento che «la rivoluzione socialista comincia entro i confini nazionali, ma non può essere circoscritta entro questi conflitti» (43), poiché «la sua salvezza risiede unicamente nella vittoria del proletariato dei paesi avanzati. Da questo punto di vista, la rivoluzione nazionale non costituisce un fine in sé, ma è un anello della catena internazionale. La rivoluzione mondiale, nonostante i ripiegamenti e i riflussi temporanei, costituisce un processo permanente» (44)” (pag 242-244) [Arturo Colombo, ‘Lenin e la Rivoluzione’, Felice Le Monnier, Firenze, 1974] [(38) Per l’edizione americana vedi ‘The Permanent Rvolution’, a cura di Max Schachtman, New York, 1931, per quella francese ‘La révolution permanente’, Parigi, 1932. Comunque, un originale in lingua russa è apparso a Berlino nel 1930 col titolo ‘Permanentnaja revoljutsija’. In italiano l’edizione Trotsky, ‘La rivoluzione permanente’, a cura di L. Maitan, Torino, 1967, che ho utilizzato per i riferimenti alle note seguenti; (39) Trotsky, La rivoluzione permanente, cit., p. 17; (40) Trotsky, idem, p. 35. In riferimento alle pagine staliniane Trotsky accresce la dose, criticandone pesantemente il “vuoto teorico” e arrivando a scrivere “le ‘Questioni del leninismo’ di Stalin sono la codificazione di tutta questa polvere ideologica: è il manuale ufficiale dell’ottusità, è una collezione di banalità», e aggiunge con una punta di sarcasmo: «cerco di usare le espressioni più moderate» (Trotsky, ‘La rivoluzione permanente, cit., p. 35); (41) (42) (43) (44) Trotsky, ‘La rivoluzione permanente’, cit,. rispettivamente a p. 115, 120, 23, 24]
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- Articolo pubblicato:25 Marzo 2025