“Contro la “superstizione politica”, cioè contro la sopravalutazione dello stato, l’attacco di Marx, checché ne dicano alcuni interpreti recenti, è costante. È questo rifiuto della superstizione politica che gli fa dire in uno scritto giovanile, ‘La questione ebraica’ (1843), che la rivoluzione francese non è rivoluzione compiuta, perché è stata soltanto una rivoluzione politica, e che l’emancipazione politica non è ancora l’emancipazione umana. E in uno scritto della maturità contro Mazzini che questi non ha mai capito nulla perché «per lui lo Stato, che crea nella sua immaginazione, è tutto, mentre la società, che esiste nella realtà, non è niente” (che è un altro modo di dire che una rivoluzione soltanto politica non è una vera rivoluzione). La teoria dello stato come apparato di dominio nato in una società divisa in classi e quindi come strumento di dominio di classe è il tema dominante dell’opera di Engels, citata, sull’Origine della famiglia, della proprietà e dello stato. Il libro nacque da una riflessione sull’opera dell’etnologo e sociologo americano L.H. Morgan, ‘Ancient Society’, pubblicata nel 1877: il Morgan era andato alla ricerca dell’origine delle società umane studiando le “unioni gentilizie di alcuni raggruppamenti indiani dell’America del Nord, e aveva dimostrato che «l’antica società fondata su unioni gentilizie era saltata in aria nell’urto con le nuove classi sociali e al suo posto era subentrata una nuova società che si compendia nello stato…, una società in cui l’ordinamento familiare viene interamente dominato da quello della proprietà e nella quale si dispiegano liberamente quegli antagonismi e quelle lotte di classi di cui consta il contenuto di tutta la storia scritta fino ad oggi». Seguendo l’idea direttiva del Morgan e integrandola con ricerche personali sulla storia della Grecia antica e di Roma e delle società germaniche nel medioevo, Engels sostiene la tesi che lo stato non è sempre esistito (non è quindi una categoria eterna della storia umana), ma è nato in qualsiasi società abbia seguito lo sviluppo comune dallo stato selvaggio allo stato barbaro, dallo stato barbaro allo stato civile, al momento in cui è avvenuta la dissoluzione della società gentilizia, cioè di una società in cui non è ancora sorta la divisione del lavoro (l’unica divisione del lavoro che vi sussiste è quella tra i due sessi, che compiono anche nella società gentilizia funzione organiche diverse). È dalla divisione del lavoro che nasce la prima grande divisione della società in due classi contrapposte, quella dei padroni e quella degli schiavi, cui seguiranno altre, sino alla formazione di una classe che non si occupa più della produzione ma solo dello scambio, la classe dei mercanti, da cui nasce la società borghese. In un brano sintetico Engels esprime il giudizio sulla sviluppo storico della società gentilizia allo stato in questo modo: «La costituzione gentilizia aveva fatto il suo tempo. Essa era stata distrutta dalla divisione del lavoro e dal suo risultato: la divisione della società in classi. Essa fu sostituita dallo Stato». Non c’è bisogno di aggiungere che una concezione siffatta della natura dello stato è in antitesi all’idea hegeliana dello stato etico. Engels ne è perfettamente consapevole e lo dice con forza: “Lo stato dunque non è affatto una potenza imposta dall’esterno e nemmeno la ‘realtà dell’idea etica’, ‘l’immagine e la realtà della ragione’, come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare»” (pag 227-228-229) [Norberto Bobbio Michelangelo Bovero, ‘Società e stato da Hobbes a Marx. Corso di Filosofia della politica a.a: 1972-73’, Coop. Libraria Univ. Torinese ed., Torino, 1973]