“Il congresso che si aprì a Genova il 14 agosto 1892 costituì dunque l’occasione più matura, anche se per nulla scontata, per far nascere sul terreno della politica l’agognato partito nazionale. Alla prima giornata del congresso, apertosi nella sala Sivori di via Roma, parteciparono circa 200 delegati (tra cui una decina di donne) in rappresentanza di 324 associazioni, perlopiù lombarde ed emiliane. Non irrilevante, anche se minoritaria, fu la presenza di sodalizi meridionali tra cui quelli pugliesi e i rappresentanti del Fasci dei Lavoratori siciliani. Sin dalle prime battute il congresso mise in luce profonde divergenze, che videro anarchici e operaisti intransigenti unirsi tatticamente contro la linea socialista di Turati e Prampolini. I contrasti tra le due componenti furono sin dall’inizio talmente acuti che Prampolini propose la definitiva separazione dei congressisti – «perché noi siamo due partiti essenzialmente diversi, percorriamo due vie assolutamente opposte, fra noi non ci può essere comunanza, dunque lasciateci in pace» (6) -, mentre Turati, rivolgendosi agli anarchici, aggiunse: «per voi noi siamo reazionari, voi siete reazionari per noi, perché ci allontanate dalla via più breve che conduce alla rivoluzione. Siamo dunque intesi: domattina noi ci aduneremo fuori di qui senza di voi, e voi terrete, ovunque vi piaccia, le vostre riunioni». Il giorno 15 si presentarono alla Sala Sivori solo un’ottantina di delegati, tra cui gli anarchici Gori e Pellaco e l’operaista Casati, i quali costituirono il Partito dei lavoratori italiani; destinato a non lasciare traccia, esso escludeva coloro che non fossero «lavoratori salariati e diseredati». Nel congresso dei «legalitari e collettivisti» prevalse invece la posizione di Turati, favorevole ad un programma francamente socialista in polemica con le componenti più eclettiche della democrazia e dell’operaismo non intransigente, timorose di perdere in tal modo l’appoggio di molte società operaie. (…) Il carattere decisamente socialista (anche se generico in alcuni punti) del programma sembrava parzialmente contraddetto dallo Statuto del partito, che continuava invece a mantenere molte delle prerogative operaiste a cominciare dalla denominazione di Partito dei lavoratori italiani. Lo Statuto infatti, frutto di una discussione necessariamente affrettata, permetteva l’adesione al partito alle sole associazioni composte da «puri e semplici lavoratori d’ambo i sessi (…) salariati» (art. 2), ma poi introduceva di straforo (art. 17) la possibilità di iscrizioni di singoli individui, teoricamente anche non lavoratori salariati. Il congresso, dopo aver ribadito che il partito avrebbe avuto «un proprio giornale per organo centrale» (il settimanale «Lotta di classe», diretto formalmente da Prampolini ma di fatto da Turati), si sciolse acclamando la nascita del «partito operaio socialista», Separatisi definitivamente dagli anarchici e dai gruppi della democrazia radicale, i socialisti italiani non solo abbracciavano una linea programmatica sostanzialmente marxista, ma legittimavano la propria aspirazione a partecipare attivamente alla vita politica del paese. Inoltre il partito di Turati, nonostante la sua gracilità, sembrò fin da subito destinato ad andare al di là del suo ruolo di portavoce dei ceti subalterni, profilandosi come un possibile strumento di acculturazione e obbligazione politica per le grandi masse. «Può darsi – scrisse Labriola ad Engels il 2 settembre 1892 – che il piccolo partito sorto di sorpresa, e il programma votato alla rinfusa, facciano nascere l’amore della disciplina ed il pudore della responsabilità» (7). In effetti il partito raccolse ben presto ulteriori consensi con l’adesione dei Fasci siciliani e del Partito socialista rivoluzionario di Costa. Un parallelo processo di concentrazione si ebbe nel campo delle Camere del lavoro che, sull’esempio della prima sorta a Milano nel 1891, nel giro di due anni erano diventate 12 e si erano unificate in una confederazione. Al secondo congresso, tenutosi a Reggio Emilia nel 1893, si definì con maggiore precisione l’ambito dell’azione del partito, che assunse il nome di Partito socialista dei lavoratori italiani, accentuando l’aspetto della totale indipendenza dagli altri partiti, sia nelle «occasioni elettorali», sia in relazione alla condotta dei deputati socialisti in Parlamento” (pag 137-139) [Fulvio Cammarano, ‘Storia dell’Italia liberale’, Mondolibri, Milano, 2012] [(6) I riferimenti al congresso di Genova del 1892, salvo altre indicazioni, sono tratti da L. Cortesi, ‘La costituzione del Partito socialista italiano’, ed. Avanti!, Milano, 1962; (7) Antonio Labriola, ‘Lettere a Engels’, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, pp. 67-68 e 74]
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- Articolo pubblicato:13 Marzo 2025