“Nella teoria del mercato e della sua importanza rispetto alla nascita del capitalismo ha preso forma, da Marx in poi, l’infelice idea che il capitalismo sia stato favorito dall’ampliamento geografico delle relazioni di mercato, specialmente tramite lo sfruttamento delle colonie nel XVI secolo. Questa idea si espresse poi nella concezione teleologica della scuola storica di economia politica, alla quale hanno aderito quasi tutti gli storici dell’economia: la dilatazione geografica degli scambi commerciali, il mercato “remoto”, l’esportazione avrebbero reso “necessaria” l’organizzazione capitalistica. Tale parere è stato considerevolmente rafforzato, nell’ultima generazione, dalla teoria di Karl Bücher, un eccellente ricercatore, un pensatore realmente fecondo, il cui pensiero è così riassumibile: artigianato = produzione per il cliente, capitalismo = produzione per una cerchia di acquirenti sconosciuti; artigianato = mercato locale, capitalismo = mercato interlocale. Questo orientamento, che è stato accettato pressoché da tutti gli storici dell’economia, è decisamente catastrofico. Infatti, come ho già detto, la ricerca così impostata finisce in un vicolo cieco. Si è cercato nel posto sbagliato ciò che giustifica la transizione alla concezione capitalistica dell’economia. La produzione per una clientela specifica (‘Kundenproduktion’), e la vendita su mercati lontani (‘Fernabsatz’) non caratterizzano affatto la contrapposizione tra artigianato e capitalismo, se indaghiamo con attenzione le relative condizioni dello scambio. Da un lato, il capitalismo può essere associato ad una produzione per una clientela specifica (p. es. nella sartoria su misura ‘Maßschneiderei’); dall’altro c’è stato, per secoli, un artigianato fiorente senza tratti capitalistici, il cui mercato era costituito dall’intero mondo conosciuto” [Werner Sombart, a cura di Roberta Sassatelli, Dal lusso al capitalismo, 2003]