“In uno scritto della tarda maturità, Croce sostenne di essere onorato di potersi dire machiavelliano (2). Anche se il filosofo non dedicò mai un volume intero al segretario fiorentino, né un singolo studio, se si eccettua l’agile paragrafo a metà con Vico negli ‘Elementi di politica’, Machiavelli è certamente uno dei punti di riferimento della sua opera (3). È stato anche ipotizzato non a torto (4) che non fu Marx a far scoprire a Croce il realismo machiavelliano, ma che si astato proprio quest’ultimo – vero e proprio elemento originario nella sua formazione, di cui si ha traccia nei primissimi anni di studioso (5), e unitamente allo storicismo vichiano e al realismo di certa cultura napoletana da Galiani a Cuoco a Colletta – ad orientare il suo interesse per l’autore del ‘Capitale’. Tuttavia è vero che soltanto nella fase degli studi su Marx – che presupponevano l’apertura alle questioni teoriche dopo il 1893 – che Croce fa emergere una significativa meditazione sull’eredità machiavelliana. In questo periodo Croce, sebbene kantiano in etica, si professa “realista” nella visione della storia, come abbiamo visto nel primo capitolo (§3 e 4), con un esplicito segno anti-hegeliano influenzato dal neo-criticismo. (…)” (pag 284); L’interesse per Marx rispondeva perciò alle esigenze di una cultura che tenesse conto delle “verità effettuali”. Marx è infatti, per Croce, il “Machiavelli del proletariato” (17). Un pensatore, cioè, che rinnova la tradizione realistica machiavelliana, utilizzandola alla luce di una più ampia visione ermeneutico-storica incentrata sulla strutturalità del fenomeno economico e del conflitto di classe. In una nota aggiunta (18) nella prima edizione in volume dei suoi saggi, nel 1900, Croce poneva infatti un parallelo fra la questione della “moralizzazione del socialismo” e quella della moralizzazione di Machiavelli. Come nel primo caso, anche in quest’ultimo agiva a suo avviso un’incomprensione della questione del realismo politico. Machiavelli non si proponeva di negare la morale, né, per altro verso, era obbligato ad una tematizzazione del problema. Si limitò invece alla questione ‘politica’. Le massime del segretari fiorentino, cioè, “non sono né morali né immorali, né benefiche né malefiche; diventano una di queste cose secondo i fini subiettivi e gli effetti obbiettivi dell’azione, secondo cioè le ‘intenzioni’ e i ‘risultati'” (pag 288) [Salvatore Cingari, ‘Benedetto Croce e la crisi della civiltà europea. Tomo II’, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003] [(2) B. Croce, ‘Scritti e discorsi politici’, vol. II, cit., p. 190; (3) Cfr., su ciò, anche F. Chabod, ‘Scritti su Machiavelli’ (1964), Torino, 1993; pp. 253-254); (4) Cfr. G. Gentile, ‘Il marxismo di B. Croce’, in ‘Il resto del Carlino’, 14.6.1918; ora anche in append. a ‘La filosofia di Marx’, cit., pp. 293-299; e E. Nuzzo, ‘Il “giovane” Croce e l’illuminismo’, in ‘Atti dell’accademia pontaniana’, Napoli, 1970-71, pp. 105-153. Su questo problema cfr. anche E. Vander, op. cit. p. 25; (5) Si veda la lettere di Labriola del febbraio del 1886 (cfr. A. Labriola, ‘Epistolario’, vol. I, Roma, 1983, pp. 217-218) in cui il cassinate, non risparmiando la sua consueta ironia, scriveva a Croce, a proposito dei ‘Critical and historical essay’ del Macaulay: “uno die saggi sul Macchiavelli lo conoscerete di certo (…). Nel saggio su Macchiavelli (badate che scrivo con due ‘c’ per tradizione e non si so adattare alla neo-grafia) parla delle idee politiche dell’illustre (come si crede) fiorentino”; (…); (17) Nella prima versione l’espressione era: “il più insigne continuatore dell’italiano Nicolò Machiavelli”; ‘Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo’, in ‘Atti dell’Accademia Pontaniana, 1897, mem. n. 17, p. 45. Nell’edizione del 1907 Croce aggiunge, appunto, anche l’espressione suddetta (cfr. ‘Materialismo storico ed economia marxistica’, Milano-Palermo, p. 134). Su ciò cfr. anche quanto scrive G. Sartori, ‘Stato e politica nel pensiero di Benedetto Croce’, Napoli, 1966, pp. 132-139. Per Sartori Croce si ispira a Machiavelli anche nella misura in cui egli si regola sempre sul valore della “patria” come insieme di cittadini e non come Stato ad essi esterno (ivi, p. 43); (18) Né G. Sasso (‘Il pensiero politico’, in “Terzo programma”, num. unico su Croce, fasc. 2, 1966, pp. 66-67), né F. Janovitz (‘Croce e Machiavelli. Note ed appunti per una ricerca’, in ‘Rivista di studi crociani’, 1970, pp. 25-34 e 1971, pp. 162-177), né G. Zarone (‘Classe politica e ragione scientifica. Mosca, Croce, Gramsci’, Napoli, 1990, p. 140 e n.) sembrano aver notato l’assenza di questa nota nella prima edizione del ’97 del saggio]