“La prospettiva individuata da Rosa Luxemburg è diversa. Il neoimperialismo del tardo Ottocento è dovuto a suo avviso, alla necessità del capitalismo di trovare sbocchi esterni per evitare la caduta del saggio di profitto. Affinché il sistema economico possa continuare a funzionare, occorre che ci sia un compratore esterno, un mondo non capitalista, accanto a quello capitalista. Di questa esigenza aveva già parlato Sismondi nei ‘Nouveaux principes d’économie politique’, dove aveva sostenuto che “con la concentrazione delle fortune (…) il mercato interno si va continuamente restringendo, e sempre più l’industria è ridotta alla scoperta di nuovi mercati esteri” (Sismondi [1819] 1827, p. 361) (3). E l’imperialismo è appunto la volontà di uno Stato di assicurarsi, con la forza o con l’intimidazione, degli sbocchi privilegiati per le sue merci, per i suoi capitali, per la sua emigrazione, attraverso la colonizzazione di aree di economia non capitalistica. Queste guerre di colonizzazione sono ineluttabili e risultano dalle contraddizioni stesse del capitalismo che ingenera crisi di sovrapproduzione. Rosa Luxemburg, che ha focalizzato la sua attenzione sui problemi del sottoconsumo, insiste sulla necessità che l’economia capitalistica ha di conquistare territori estranei al modo di produzione capitalistico per smaltire i prodotti invendibili sul mercato interno, dove i consumatori potenziali, i proletari, i cui salari sono mantenuti a livelli di sussistenza in seguito alla sottrazione del plusvalore da parte dei capitalisti, non hanno potere d’acquisto sufficiente per assorbire tutta la produzione nazionale. Poiché le economie interne non capitalistiche, rappresentate dai contadini e dagli artigiani, non sono a loro volta in grado di assorbire tutta la produzione eccedente, gli stati capitalistici entrano in guerra per il possesso di colonie su cui esercitare la propria influenza, consentendo a imprenditori e capitalisti di vendere merci e investire risparmi esuberanti all’interno. L’imperialismo è dunque un modo specifico di accumulazione e costituisce l’ultima fase di sviluppo del capitalismo, quella che lo porterà al crollo. Infatti, se il capitalismo ha necessità di attivare l’interscambio con economie precapitalistiche, proprio attraverso questo interscambio le distrugge come tali, modernizzandole e sostituendosi ad esse. In questo modo, col tempo, anche nelle colonie i lavoratori saranno proletarizzati e si giungerà al punto in cui non esisteranno più economie diverse dal capitalismo, che si precluderà così ogni ulteriore possibilità di espansione. In quest’ultima fase, il disordine economico e politico e la lotta di classe porteranno alla rivoluzione proletaria e al socialismo. Al militarismo, Rosa Luxemburg dedica l’ultimo capitolo dell”Accumulazione del capitale’ (1913), definendolo “un mezzo di prim’ordine” per realizzare plusvalore, connaturato al capitalismo, essendo presente in ogni fase storica del processo di accumulazione, fin dai suoi albori, quando il capitalismo europeo avviò la conquista coloniale del nuovo mondo, distruggendo le comunità sociali locali, imponendo loro il modo occidentale di produrre e commercializzare i prodotti. Da allora in poi la spesa bellica è sempre stata un mezzo efficace per realizzare plusvalore poiché viene pagata per lo più con imposte indirette e dazi protettivi, che innalzano i prezzi e gravano sulla classe lavoratrice. Viene così trasferita  allo Stato una parte del potere di acquisto dei lavoratori, che altrimenti sarebbe stata destinata all’acquisto di beni di sussistenza. Con essa, lo stato alimenta la domanda di strumenti bellici” [Renata Allio, Gli economisti e la guerra, Soveria Mannelli, 2014] [(3) Secondo Lionel Robbins (1944, p. 22), non è però questa l’osservazione che sta alla base del pensiero della Luxemburg, la quale si sarebbe invece rifatta a Rodbertus, che, nel 1858, trattando di sovrapproduzione e crisi, aveva evidenziato la necessità dell’imperialismo come risposta ai problemi del sottoconsumo]