“Consapevole che la storia è il complesso di tutta una serie di “fattori” – politici, etici, economici, culturali -, Croce – e così sarà anche per Weber – poteva considerare il marxismo come un contributo parziale alla storiografia: positivo per la sua parte, ma incompleto. Queste tesi erano già enucleate nel saggio del ’96 ‘sulla concezione materialistica della storia’. L’anno successivo l’analisi di Croce si spinge più a fondo, sviluppando le tesi critiche. Nel saggio ‘Per l’interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo’ (80), egli sosteneva che ciò di cui si parla nel ‘Capitale’ non è questa o quella società, ma una società “ideale e schematica, dedotta da alcune ipotesi, che potrebbero anche non essersi presentate mai nel corso della storia” e che tuttavia “rispondono in buona parte alle condizioni storiche del mondo civile moderno”. Non di una ‘descrizione storica’ si trattava, ma di una ‘ricerca astratta’. Il valore-lavoro non funzionava perciò come legge dell’economia che, secondo Croce, andava individuata invece nell’ ‘utilità’ della scuola edonistica. Esso aveva invece, a suo avviso, una valenza “tipica” (81) (di cui è stata segnalata la somiglianza con la “stenografia dei concetti” weberiana (82)) che intendeva “mostrare con quali divergenze da tal misura si formino i prezzi delle merci nella società capitalistica e come la stessa forza-lavoro acquisti un prezzo e diventi una merce”. Benché non si trattasse della legge del capitalismo, tale operazione era legittima: “non è forse procedimento solito di analisi scientifica – spiegava – considerare un fatto non solo così come è dato, ma anche in ciò che sarebbe se uno dei fattori di esso venisse a variare, e nel paragonare il fatto ipotetico col reale, concependo il primo come divergente dal secondo che si assume come fondamentale, o il secondo dal primo, che si assume nel senso medesimo? (…) L’errore potrebbe cominciare solo quando, egli o altri, confondesse l’ipotesi con la realtà, e il modo del concepire e del giudicare col modo dell’essere”. Ora, se nel saggio sopra citato del ’96 e in quello su Loria dello stesso anno, Croce attribuiva al “sopravalore” un significato “morale” (prefigurazione di una società in cui l’eguaglianza diffusa misura l’ingiustizia della società attuale), nel saggio del ’97, egli cambia posizione (83). La valenza del concetto di sopravalore non è più ‘morale’, se non in riferimento alle intenzioni soggettive di Marx (84). Il tipo ideale di una società in cui il valore è uguale a quello socialmente necessario è un’astrazione che individua una parte della società storica stessa separandola dal resto. Solo che il valore proveniente dal lavoro è, nella realtà, una ‘forza tra le forze’, un fatto fra i fatti; in ipotesi si poteva anche pensare ad una società dove i beni fossero indipendenti dal lavoro. Con quell’astrazione Marx non elaborava una rigorosa ‘legge scientifica’, ma studiava il ‘problema sociale del lavoro’ e mostrava come questo problema venisse risolto nella società capitalistica. Solo in tal modo si poteva giustificare il concetto di sopravalore che, altrimenti, non avrebbe senso in economia” (pag 39-41) [Salvatore Cingari, ‘Benedetto Croce e la crisi della civiltà europea. Tomo I’, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003] [(80) ‘Atti dell’Accademia Pontaniana’, 1897, mem. n. 17, pp. 46; (81) Già nel saggio su Loria, Croce parlava infatti di “concetti generali, o concetti tipici, o concetti-limite” di cui “son piene tutte le scienze” (‘Le teorie storiche del prof. Loria’, in ‘Materialismo storico ed economia marxistica’, Milano-Palermo, 1900; pp. 54-55; (82) Cfr. R. Racinaro, ‘La crisi del marxismo nella revisione di fine secolo, Bari, 1978, p. 150. Su un accostamento fra Croce e Weber a questo proposito cfr. anche D. Venturelli, ‘Labriola, Croce e Gentile interpreti di Marx’, in “Giornale di metafisica”, 1979, p. 369n. Tuttavia rispetto a Weber, e allo stesso concetto di “tipo” che Sombart – con il conforto di Engels – analogamente assegnava alla concettualizzazione marxiana, l’idea crociana del valore-lavoro marxiano non aveva caratteri morfologico-sociologici e – rimarcava Labriola -, confondeva piuttosto il “tipo” con l’ “ipotesi”. In tal modo sia il consenso engelsiano a Sombart, che la proposta labrioliana, sarebbero stati oggetto, da parte di Croce, di una forzatura semantica: cfr. G. Marramao, ‘Marxismo e revisionismo in Italia’, Bari, 1971, pp. 140-142. Croce cita Sombart e Engels a proprio conforto in ‘Per l’interpretazione…’, cit., pp. 5-6 e ‘Recenti interpretazioni della teoria marxistica del valore e polemiche intorno ad esse’, in ‘Riforma sociale’, 1899, p. 420; (83) ‘Per l’interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo’, cit., p. 12n; (84) Nel saggio su ‘Marxismo e economia pura’, Croce faceva emergere il nesso fra considerazione sociologica e morale: l’opera di Marx, sebbene non scientifica, forniva il suo contributo veritativo – si noti la vicinanza con le coeve tesi di Durkheim – col richiamare “fortemente alla coscienza la ‘condizionalità sociale del profitto’: di che lacrime grondi e di che sangue” (‘Rivista italiana di sociologia’, 1899, p. 739]
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- Articolo pubblicato:27 Febbraio 2025