“Michel Beaud, autore di una interessante storia del capitalismo, titola non a caso la prima parte del suo libro ‘Dall’oro al capitale’. Scrive Beaud: «Nell’Europa occidentale dell’XI secolo la società feudale ha ormai raggiunto una forma compiuta: nell’ambito della proprietà feudale si svolge l’organizzazione della produzione servaggio, lavoro forzato, corvée) e l’estorsione del pluslavoro (sotto forma di rendita in lavoro), di cui beneficia il Signore, proprietario e detentore delle prerogative politiche e giurisdizionali. Tuttavia, per la società feudale inizia anche un processo di disgregazione: trasformazione della rendita in lavoro in rendita in natura o in denaro, con lo sviluppo del lavoro libero e di forme di proprietà contadina: simultaneamente, ripresa del commercio: fiere, riattivazione dell’artigianato (all’interno delle corporazioni) rinascita della vita urbana, formazione di una borghesia commerciale. .. È dall’ambito della disgregazione dell’ordine feudale che avrà luogo la formazione del capitalismo mercantile…» (9). Questa valutazione mi permette di evidenziare quello che per Marx e per il marxismo è il nodo della specificità del Medioevo europeo: quel ruolo straordinario del denaro che, da banale mezzo di pagamento e di scambio, o di tesaurizzazione, quale era in tutte le società precedenti, diventa lo strumento della valorizzazione e conseguente accumulazione del capitale con tutte le sconvolgenti conseguenze che ne derivano. Ma per interpretare questo ruolo deve disporre (e questo accade solo in Europa…) di quello che nel contempo si avvia a diventare il proletariato moderno: prima servi della gleba affrancati, poi garzoni nelle botteghe artigiane ed in seguito operai nelle manifatture. Nel capitolo 2 del Libro primo del ‘Capitale – La cosiddetta accumulazione originaria – Marx scrive: «La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla struttura economica della società feudale. La dissoluzione di questa ha liberato gli elementi di quella. Il produttore immediato, l’operaio, ha potuto disporre della sua persona soltanto dopo aver cessato di esser legato alla gleba e di essere servo di un’altra persona o infeudato ad essa. Per divenire libero venditore di forza-lavoro, che porta la sua merce ovunque essa abbia un mercato, l’operaio ha dovuto inoltre sottrarsi al dominio delle corporazioni, ai loro ordinamenti sugli apprendisti e sui garzoni e all’impaccio delle loro prescrizioni per il lavoro. Così il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa… Ma dall’altro lato questi neo-affrancati diventano venditori di sé stessi soltanto dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. E la storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco» (20). A conferma ci limitiamo a ricordare l’esempio delle famose “recinzioni”, finalizzate alla espropriazione delle terre comuni dei villaggi agricoli per allevarvi le pecore. Tommaso Moro bollò questa pratica tipica dei signori feudali divenuti borghesi con una famosa frase, terribile quanto efficace: «Le pecore hanno mangiato gli uomini!»” (pag 42-43) [Daniela Romagnoli, ‘Incontri con Jacques Le Goff’, Edizioni Pantarei, Milano, 2025] [(9) M. Beaud, ‘Storia del capitalismo. Dal Rinascimento alla New Economy’, Milano, 2004, p. 23. L’edizione originale francese uscì a Parigi nel 1981; (10) K. Marx F. Engels, Opere, vol. 30, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 2022, p. 730-731]