“A questo riguardo vi sono due punti importanti da considerare. Il primo è la relazione fra l’offerta di manodopera e l’estensione del nuovo modo di produzione; il secondo, il posto del sistema di fabbrica nel quadro generale della trasformazione economica. Sul primo punto – il reclutamento di una manodopera di fabbrica – si è discusso molto. I fatti sono abbastanza chiari. Nel 1830 c’erano centinaia di migliaia di uomini donne e bambini occupati nell’industria di fabbrica (125). Erano entrati negli opifici nonostante una grande paura dell’ignoto, l’avversione alla sorveglianza e alla disciplina, e il rancore per le implacabili esigenze della macchina. I regolamenti delle prime fabbriche sono per noi l’indice migliore dell’importanza di questi elementi: le multe più gravi si riferivano alle assenze (il peccato capitale, che spesso costava parecchi giorni di paga), ai ritardi e alle distrazioni dal lavoro. L’interpretazione di questi fatti è un altro paio di maniche. Per molto tempo l’opinione più accettata è stata quella proposta da Marx, e ripetuta e rifinita da generazioni di storici socialisti e anche non socialisti. Questa tesi spiega la realizzazione di una trasformazione sociale così enorme – la creazione di un proletariato industriale nono stante le tenaci resistenze – postulando un atto di espropriazione forzata: le recinzioni dei terreni sradicarono l’abitante del villaggio e il piccolo contadino, e li spinsero negli opifici. Recenti ricerche empiriche hanno invalidato questa ipotesi: i dati indicano che la rivoluzione agricolo connessa alle recinzioni accrebbe la domanda di manodopera contadina, e che anzi le zone rurali in cui le recinzioni furono più intense ebbero il massimo incremento di popolazione residente (126). Fra il 1750 e il 1830 le contee agricole d’Inghilterra raddoppiarono i loro abitanti. Resta però da vedere se documenti obiettivi di questo genere basteranno a liquidare quello che è diventato una specie di articolo di fede. Una interpretazione più recente abborda il problema dal lato opposto, e argomenta che poiché le fabbriche a un bel momento ebbero la manodopera di cui avevano bisogno, non vi fu mai il problema di reclutamento; che, nell’ingannevole linguaggio del senso comune, non vi fu mai scarsezza di manodopera. La proposizione è inconfutabile, e quindi non significa nulla” (pag 152-153) [David S. Landes, ‘Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri’, Einaudi, Torino, 1993] [(125) Anche dopo l’approvazione della legge del 1833 e l’istituzione di regolari ispezioni, non abbiamo un computo completo della manodopera di fabbrica in un determinato momento. In primo luogo, la definizione ufficiale di fabbrica limitava il termine agli stabilimenti tessili dotati di forza motrice a vapore; in secondo luogo, la manodopera occupata cambiava di continuo, e i vari ispettori raccoglievano le loro statistiche nel corso di parecchi mesi. Cfr. i dati per il 1935 in A. Ure, ‘The Philosophy of Manufactures’, London, 1835, appendice; (126) Cfr. l’importante articolo di J.D. Chambers, ‘Enclosure and the labour supply in the Industrial Revolution’, in “Economic History Review’, 2a serie, V, 1953, pp. 318-43]