“Certo, le merci possono esser vendute a prezzi che si allontanino dai loro valori, ma ciò può avvenire soltanto se viene violata la legge dello scambio delle merci. Nella sua forma pura lo scambio delle merci è uno scambio di equivalenti, quindi non è un mezzo per arricchirsi. Di qui l’errore di tutti i tentativi di far derivare il plusvalore dalla circolazione delle merci. Ma ammettiamo che lo scambio non si svolga in forma pura e che ‘vengano scambiati dei non equivalenti’. Ammettiamo che ogni venditore venda le sue merci al 10% al di sopra del loro valore. ‘Resta’ tutto lo stesso: ciò che ciascuno guadagna come venditore lo perde come compratore. Assolutamente come se il valore del denaro fosse cambiato del 10%. Altrettanto avrebbe se i compratori comprassero tutto al 10% ‘al di sotto’ del valore. L’ipotesi che il plusvalore nasca da un aumento dei prezzi, presuppone che esista una classe che acquisti senza vendere, cioè ‘consumi senza produrre’ alla quale affluisca costantemente denaro gratuitamente. Vendere merci al di sopra del valore a questa classe significa soltanto riprendersi, in parte, per inganno, denaro dato via per niente. (Asia minore e Roma). Con ciò il venditore rimane costantemente truffato, e non può, con ciò arricchirsi, formare plusvalore. Supponiamo il caso della ‘truffa’. A vende a B del vino, per il valore di L. 40, contro grano per il valore di L. 50. A ha guadagnato L. 10. Ma anche A+B complessivamente non hanno che 90, A ha 50 e B ormai soltanto 40. Si è trasmesso del valore ma non lo si è creato. L’insieme della classe dei capitalisti di un paese non può soverchiare sé stessa. Sicché, se si scambiano equivalenti non sorge alcun plusvalore; neppure quando si scambiano non equivalenti sorge alcun plusvalore. La circolazione delle merci non crea alcun nuovo valore. (…) Quindi, il plusvalore non può sorgere dalla circolazione. E al di fuori di essa? Al di fuori della circolazione il possessore di merce è semplice produttore della sua merce, il cui valore dipende dalla grandezza del suo proprio lavoro ivi contenuto, misurato secondo una particolare legge sociale; questo valore viene espresso in moneta di conto, p. es. in un prezzo di 10. Ma questo valore non è contemporaneamente un valore di 11 sterline; il suo lavoro crea valori, ma non ‘valori che si valorizzano’. Esso può aggiungere più valore a un valore esistente, ma ciò avviene soltanto mediante l’aggiunta di un ‘nuovo lavoro’. Dunque, il produttore di merci, ‘al di fuori della sfera della circolazione’ senza entrare in contatto con altri possessori di merci, non può produrre nessun plusvalore. Bisogna quindi che il capitale scaturisca ‘entro’ la circolazione delle merci e nello stesso tempo ‘non entro’ di essa. Dunque: la trasformazione del denaro in capitale deve essere spiegata in base alle leggi che sono immanenti allo scambio di merci, in modo tale che lo scambio di equivalenti valga come punto di partenza. Il nostro possessore di denaro, che esiste ancora soltanto come bruco di capitalista, deve comperare le merci al loro valore, le deve vendere al loro valore, eppure alla fine del processo deve trarne più valore di quanto ve ne abbia immesso. Il suo evolversi in farfalla deve avvenire entro la sfera della circolazione e ‘non’ deve avvenire entro di essa. Queste sono le condizione del problema: ‘Hic Rhodus, hic Salta!'” [F. Engels, ‘Riassunto del Capitale’ (Contraddizione della formula generale)] [(in) Karl Marx Friedrich Engels, ‘Riassunto del Capitale’, 1976]