“Chi volesse cercare una riprova di quanto si è detto dovrebbe fare un’analisi, più precisa di quella che si possa fare in questa occasione, delle caratteristiche dei due grandi movimenti di resistenza che oggi si dividono il mondo, quelli che fanno capo ai partiti rivoluzionari (nello loro diverse accezioni) e quelli che fanno capo ai movimenti di disobbedienza civile. Tanto per intenderci, e ammesse articolazioni interne: leninismo e gandhismo. La discriminazione tra l’uno e l’altro è l’uso della violenza, e quindi dal punto di vista ideologico la giustificazione o in-giustificazione della violenza. Sotto questo aspetto la fenomenologia dei movimenti odierni non differisce da quella antica: anche nelle vecchie trattazioni sulle varie forme di resistenza la differenza che divideva la resistenza attiva da quella passiva era l’uso della violenza. Oggi, la differenza, sta, principalmente, come si è detto, nel tipo di argomentazioni con cui questo uso (o questo non uso) viene giustificato: più politica, come si è detto, che giuridica (o etica). La cosa è abbastanza ovvia per il partito rivoluzionario la cui teorizzazione trae la sua matrice da una dottrina realistica, nel senso machiavellico della parola, come quella marxiana e ancor più come quella leniniana (secondo cui il fine giustifica i mezzi). Un’altra differenza, se mai, tra la teoria della violenza rivoluzionaria di oggi da quelle di ieri (le teorie giusnaturalistiche), sta nel fatto che per queste la violenza statale era un caso limite che doveva essere di volta in volta individuato (come si diceva, conquista, usurpazione, abuso di potere ecc.); per la prima, invece lo Stato in quanto tale (anarchismo), o lo Stato borghese in quanto tale, cioè in quanto fondato sull’oppressione di una ristretta classe di privilegiati su una classe numerosa di sfruttati (comunismo), è violento. Lo Stato è «violenza concentrata e organizzata della società», secondo la famosa frase di Marx, che è uno dei temi conduttori della teoria rivoluzionaria che passa attraverso Lenin per arrivare a Mao, alla guerra popolare, alla guerriglia ecc. (Nuova rispetto alla teoria tradizionale è la giustificazione anche di quell’eccesso di violenza in cui consiste il terrore, da Robespierre a Mao. del quale si può ripetere una tesi altrettanto famosa: «… è stato necessario creare un breve regno del terrore in ogni zona rurale… Per riparare un torto è necessario superare i limiti»). Meno ovvio, e quindi più interessante, è che la stessa teoria della disubbidienza civile- dalla obbedienza passiva d’origine esclusivamente religiosa, da Thoreau, che rappresenta pur sempre un caso individuale (non pagare le tasse se queste servono alla continuazione della guerra ingiusta), da Tolstoj, al metodo ‘satyagraha’ di Gandhi – ha percorso un lungo cammino di strada del realismo politico, cioè della sua giustificazione politica” (pag 172-173) [Norberto Bobbio, L’età dei diritti’, Einaudi, Torino, 1992]