“Siamo al confronto con l’esperienza sovietica. Korsch non le contrappone un “puro sistema consiliare”, svincolato da ogni controllo dello Stato. Invano tuttavia cerchiamo nel testo una precisazione su questo punto. Al contrario, tra le righe emerge l’idea della precarietà e strumentalità di quello che si continua a chiamare “Stato”. Anche là dove si parla di “controllo dello Stato proletario” si intende piuttosto un provvisorio ‘antistato’ (il termine è nostro) atto a rovesciare l’esistente ordine socio-economico, altrimenti non scalfito dagli esperimenti cogestionali e dalle nazionalizzazioni parziali e, quindi, in grado di sostenere e vigilare sul costituendo nuovo ordine di democrazia sociale. In un secondo tempo (…) esso dovrà lasciare il posto alla libera, autonoma autogestione operaia. Al riguardo, in Korsch, si nota una certa ambivalenza. Da una parte, egli giustifica con ragioni di forza maggiore la mancata realizzazione del contenuto libertario-rivoluzionario dei Soviet russi, dall’altra, insiste sul carattere di eccezionalità della “dittatura del proletariato”. “La conquista del potere politico da parte della classe lavoratrice e la sostituzione della democrazia borghese con quello proletaria – nella forma della dittatura del proletariato – a lungo termine affretterà senza dubbio lo sviluppo delle forme più dirette di democrazia industriale. A breve termine, tuttavia, la dittatura del proletariato può transitoriamente mostrare la tendenza a limitare sino a un certo grado i diritti di partecipazione del lavoratore come tale – e quindi la democrazia industriale nel senso stretto della parola – e forse la stessa autonomia dei sindacati” (16). Korsch, per il momento, non è dunque in polemica con Lenin al quale, anzi, fa riferimento per attaccare l’anti-riformismo astratto dell’ “estremismo, malattia infantile del comunismo”. Ma è chiaro che non valuta correttamente in tutta la sua ampiezza la strategia leniniana. Del resto Korsch non si pone neppure in termine tatticamente precisi quello che egli chiama “il violento rovesciamento delle strutture statali democratico-borghesi” (17). In verità, la distanza dal modello leninista si misura più che nel deprivilegiamento della funzione del partito, nella indeterminatezza della sua posizione rispetto alla organizzazioni proletarie. “Se l’organizzazione sindacale di massa è per così dire il corpo dell’intero proletariato, i partiti politici ne sono la testa, e nessun Consiglio aziendale potrebbe sentirsi in dovere, per un falso concetto di neutralità sindacale, di agire senza testa” (18). Il partito è dunque affermato, ma il baricentro dell’azione politica passa nei Consigli aziendali, “i reali combattenti di una battaglia economica e sociale che al suo culmine è necessariamente nello stesso tempo una battaglia politica” (19). Per questa mobilitazione occorre, per altro, il rilancio rivoluzionario dei sindacati, previe alcune riforme organizzative, cioè la loro ristrutturazione per settori industriali e il coordinamento superaziendale dei Consigli. Realizzate queste riforme, “il Consiglio aziendale non appare più come organo sussidiario dei sindacati per la salvaguardia del livello di vita dei lavoratori nella società classista esistente, ma l’avamposto attraverso il quale i sindacati entrano nelle aziende e quindi nei settori industriali, ancora in mano ai nemici di classe, ai quali dovranno essere strappati con la lotta rivoluzionaria, per essere posti sotto il controllo e poi sotto la esclusiva amministrazione della classe proletaria economicamente e politicamente organizzata” (20). (…). In occasione del Congresso sindacale di Lipsia (dello stesso anno 1922) che affrontò proprio il tema della riforma organizzativa da lui auspicata (21), Korsch si lascia andare all’ottimismo, con la riserva che alle parole seguano i fatti: “La questione della rivoluzione nei sindacati è stata posta finalmente concretamente all’ordine del giorno del movimento sindacale tedesco” (22). Non va certo sottovalutata – egli prosegue – la mentalità burocratica dei funzionari in carica, ostile a ogni innovazione. Occorre toglierli dai loro posti. E se non servono più i mezzi legali a disposizione della latente lotta di classe, si devono usare i mezzi della lotta aperta, primo fra tutti lo sciopero. “Infatti, nella società capitalistica, lo sciopero non è solo la prova generale e preparatoria per un rovesciamento da attuare primo o poi. Esso è piuttosto, per quanto limitata sia la sua azione nel tempo e nello spazio, la formale eliminazione dei fondamenti della società esistente. Costituisce già una parte della rivoluzione sociale” (23)” (pag 774-776) [Gian Enrico Rusconi, ‘Karl Korsch e la strategia consiliare-sindacale’, Problemi del Socialismo, Roma, n. 41, luglio-agosto 1969] [(16) K. Korsch, ‘Arbeitsrecht für Betrebsräte’, Viva, Berlin, 1922, p. 34; (17) Op. cit., p. 35; (18) Op. cit., p. 188. Questa frase non è riportata nell’edizione del 1968; (19) Op. cit., p. 106: (20) Op. cit., p. 69; (21) Essa andrà in porto invece solo nel 1945 appunto con le ‘Industrie-Gewerkschaften’; (22) Op. cit., p. 100; (23) Op. cit., p. 196. Questa frase non è riportata nell’edizione 1968]
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- Articolo pubblicato:22 Maggio 2024