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“Ma il pensiero del Marx conserva ancor oggi il suo valore e la sua efficacia critica proprio contro l’astrattezza della scienza economica. La quale, pur avendo ad oggetto l’esperienza umana, è portata necessariamente ad astrarre rapporti e fenomeni, ad entificare gli schemi, a dimenticare gli uomini per vedere soltanto astrazioni, come il mercato, la domanda, l’offerta, lo scambio. Questa astrazione è senza dubbio giustificata ed inevitabile per la natura stessa della scienza economica, ma non è giustificata  quella illazione conservatrice, che quasi sempre, per istinto ed abitudine professionale, gli economisti ne traggono, che cioè tutto debba continuare ad essere come è stato in precedenza, che le leggi, i fenomeni, la struttura economica siano qualcosa di immutabile e di assoluto. E’ merito del Marx aver messo in luce l’illiceità di questa deduzione, averne chiarito nell’aspra polemica contro l’economia “borghese” i fondamenti e i motivi profondi. L’assolutizzazione di una determinata situazione, delle leggi che la regolano, l’assunzione di una data struttura sociale a modulo eterno, non è altro che la difesa ad oltranza degli interessi che maggiori vantaggi traggono da quella situazione e da quella struttura, non è altro che l’espressione parziale e interessata della classe dominante. E’ questo il significato ed il senso della sarcastica polemica del Marx contro l’economia “borghese” contro “l’idoleggiamento della merce”, ed è qui il significato ed il senso della teoria del valore-lavoro” [Ruggero Amaduzzi, introduzione] [(in) Carlo Marx, Salari, prezzi, profitti, 1946]