“Nota 10. Sul dibattito in Inghilterra circa la riforma della Compagnia delle Indie in quell’anno [1853 ndr], oltre che sugli effetti generali del dominio inglese, non si può non rinviare alle classiche pagine di Marx, ora raccolte in ‘India Cina Russia’, cit., pp. 57-118. Esse contengono, come è noto, la prima rappresentazione della forma economica del «dispotismo orientale», fondato sulla polarizzazione di un governo centrale incaricato di eseguire grandi opere pubbliche e di un «sistema di villaggio» a economia domestica (cfr. op. cit., pp. 70-78); a noi queste pagine interessano soprattutto per la valutazione degli interessi britannici in India in quei decenni. La trasformazione del carattere del commercio indiano – da esportatore di manufatti di cotone a importatore dei medesimi prodotti dall’Inghilterra – viene qui potentemente rilevata; come pure la trasformazione degli interessi della classe capitalistica britannica verso l’India. Si riconoscerà che il quadro migliore della nascita dell’ «imperialism of free trade», è stato compiuto esattamente cent’anni prima della «scoperta» di Gallagher e Robinson [ndr.: J. Gallagher R. Robinson, ‘The Imperialism of Free Trade’, “Economic History Review”, 1953, pp. 1-25] (pag 74). (…) Per quanto riguarda l’imperialismo inglese in Africa, la parola spetta nuovamente a Gallagher e Robinson, che in collaborazione con A. Denny ci hanno dato un importante lavoro (17) in cui le tesi del precedente articolo sono ampiamente rivedute. Dopo aver nuovamente affermato che «sebbene liberali in via di principio, gli statisti vittoriani non minimizzarono mai il ruolo del governo [nell’apertura dei mercati esotici]» (p. 4), essi fanno rapidamente il punto sulla situazione del commercio estero inglese all’inizio degli anni ’80 (…). Come si spiega, allora il repentino cambiamento di politica dopo il 1882? Per i nostri autori, “al centro dell’imperialismo tardo-vittoriano in Africa sta un apparente paradosso. Le principali correnti di commercio, investimenti ed emigrazione inglese continuarono praticamente a ignorare l’Africa tropicale e tuttavia fu l’Africa tropicale che fu coinvolta nell’impero. C’è una evidente discrepanza di direzione fra le armi dell’economia e quelle della politica. La bandiera non seguì il commercio e il capitale; e neppure furono il commercio e il capitale a seguire la bandiera. I tardo-vittoriani sembrarono concentrare i loro sforzi imperiali sul continente di minore importanza per la loro prosperità”. Per Gallagher, Robinson e la Denny né Hobson, né Lenin e i marxisti ci aiutano a spiegare il caso africano, il quale sembra sottrarsi a ogni riduzione economicistica. La preferenza dei tre studiosi va invece piuttosto a una interpretazione che chiameremmo sociologico-politica, e che certamente viene sostenuta in modo assai interessante. Al disopra delle varie istanze che si affacciano continuamente nella vita sociale dell’impero, essi presentano un apparato di governo ben in grado, negli ultimi decenni del secolo, di mediarne e coordinare le spinte e di trasformarle in una linea politica univoca. “Questo non significa – precisano gli autori – che in ministri e i loro consiglieri fossero pienamente coscienti delle forze che operavano, oppure che essi sapessero con chiarezza dove stavano andando. Neppure significa che essi potevano controllare il processo di espansione e metterlo in modo e fermarlo a volontà… Ma con tutti i loro difetti, i calcoli ufficiali gettano la luce maggiore sulle ragioni più profonde dell’espansione imperiale in Africa”” (pag 81-82) [Riccardo Faucci, ‘L’imperialismo tardo-vittoriano: continuità o cambiamento qualitativo?’, ‘Studi Storici, Roma, n. 1, gennaio-marzo 1971] [(17) R. Robinson, J. Gallagher, with A. Denny, ‘Africa and Victorians, the Official Mind of Imperialism’, London, 1961] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]