“[C]hi riflette soltanto in maniera economicistica sul pensiero marxiano o in maniera di darwinismo sociale e quindi di fase inesorabile, per cui tanto la rivoluzione arriva e non c’è neanche bisogno di stare a pensarci, dimentica invece che Marx è un creatore di istituzioni, cioè crede nella istituzionalizzazione politica, cioè crede nei sindacati come forma di organizzazione dei lavoratori, crede anche nel partito, anche se non sarà del tutto convinto dell’esperienza del partito che si produce, soprattutto in Germania, e crede nelle forme di organizzazione dei lavoratori attraverso l’Internazionale, cioè crede nella necessità di riuscire a creare istituzioni politiche o movimenti politici nei quali si esprima la consapevolezza rivoluzionaria o comunque si esprima la consapevolezza della difesa di interessi che possono e debbono essere organizzati e quindi crede che attraverso queste istituzioni si può in parte imbrigliare il capitalismo, ma il capitalismo può essere soltanto imbrigliato, non può essere riformato, deve essere, una volta imbrigliato, totalmente cambiato o, se volete, superato. Quindi i comunisti attraverso queste forme di organizzazione devono riuscire a far passare l’idea radicale della rottura con questo modo di produzione e non aspettare, nel senso dell’attendismo perché la rivoluzione è dietro l’angolo e comunque arriverà perché le forze produttive arriveranno a uno sviluppo tale da esaurire la fase precedente e da consentire il passaggio successivo, ma invece è necessario operare attraverso queste istituzioni. E questo è il punto direi meno marcato nella riflessione contemporanea sul marxismo, nel senso che si è andata perdendo la nozione di rivoluzione marxiana, e forse si è andata perdendo la stessa fiducia nella rivoluzione, mentre invece questo è il punto cruciale” (pag 52-53) [Gianfranco Pasquino, ‘Marx dopo Marx’, Cappelli editore, Bologna, 1985]