“Molti testi sembrano sostenere la tesi della genesi diretta della coscienza politica dal movimento reale, senza la mediazione di qualcosa che venga “dall’esterno” della classe. Nonostante l’implicazione contenuta nella ricordata asserzione dell”Indirizzo inaugurale’, che la forza del numero vale solo se unita dall’organizzazione e guidata dalla conoscenza, il problema della funzione specifica degli intellettuali nel movimento non è più affrontato. Sarà ripreso solo in negativo, per indicare i pericoli dell’intellettualismo, dell’astrattezza e del paternalismo. La lettera circolare del settembre 1879, scritta in risposta all’articolo di Höchberg, Bernstein e Schramm, è l’unico testo che riprenda deliberatamente il tema degli intellettuali borghesi e faccia esplicito riferimento all’unico precedente, quello del ‘Manifesto’. Il meno che si possa dire è che Marx vedeva il problema ma non l’amava, e forse anche non lo considerava importante se non come un pericolo: pericolo di prevalenza del movimento delle idee sul movimento reale, dei “borghesi colti” sugli operai. E infatti, nel ’79 Marx interviene contro il “Manifesto dei tre zurighesi”, secondo i quali la classe operaia da sola sarebbe incapace di emanciparsi, e per emanciparsi dovrebbe sottomettersi alla direzione di borghesi “colti e possidenti”, i quali soltanto avrebbero il tempo e la possibilità di studiare a fondo ciò che giova agli operai. Nel contesto polemico entro il quale la questione è qui nuovamente affrontata la tesi del ‘Manifesto’ risulta alquanto attenuata: “Il fatto che persone provenienti dalle classi sinora dominanti aderiscano al proletariato militante e gli portino elementi di educazione, è un fenomeno inevitabile e giustificato da tutto il corso degli avvenimenti. Ma a questo proposito si deve fare attenzione a due cose. ‘In primo luogo’ queste persone, per essere (realmente) utili al movimento proletario, devono portare con sé reali elementi di educazione. Ma questo non si può dire della grande maggioranza dei convertiti borghesi tedeschi (…). ‘In secondo luogo’. Quando siffatte persone provenienti da altre classi aderiscono al movimento proletario, la prima esigenza è che non portino con sé nessun residuo di pregiudizi borghesi, piccolo-borghesi, ecc., ma che facciano proprio senza riserve il modo di considerare le cose del proletariato. Quei signori invece, come è dimostrato, sono saturi di idee borghesi, e piccolo borghesi (Marx ed Engels a Bebel, Liebknecht, Bracke e altri, Londra metà settembre 1879, in Karl Marx, Friedrich Engels, Il Partito e l’Internazionale, Roma, 1948, pp. 260-261). Nel ‘Manifesto’ gli intellettuali borghesi sono i portatori della “intelligenza del movimento storico nel suo insieme”; qui, molto più modestamente, di “elementi di educazione”. La seconda considerazione di Marx ha poi una notevole rilevanza teorica: gli intellettuali devono far propria senza riserve, l”Anschauungweise’ del proletariato. Ciò significa che un modo di vedere le cose intuitivo proprio del proletariato nasce dalla sua condizione nell’organizzazione capitalistica del lavoro e dal movimento spontaneo di lotta contro il capitale, cioè dalla struttura, dalla natura peculiare di questa classe che è un prodotto sociale del modo di produzione capitalistico. Questa ‘Anschauungweise’ ha le sue radici nella predisposizione “naturale” (in quanto nasce dalla sua posizione nella produzione) del proletariato all’organizzazione, alla disciplina e alla lotta rivoluzionaria. “Il progresso dell’industria, del quale la ‘borghesia’ è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all’isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria risultante dall’associazione” (K. Marx, F. Engels, Manifesto, cit., p. 108). E nel ‘Capitale’, dopo aver descritto le conseguenze economiche della concentrazione capitalistica, Marx ne descrive le conseguenze sociali con queste parole: “Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico” (27). Su questo terreno affondano le radici stesse della vocazione della classe operaia alla politica. “Gli operai sono di loro natura ‘politici'”, scrive Engels a Cuno (28)” [Gastone Manacorda, a cura di Claudio Natoli Leonardo Rapone e Bruno Tobia, Il movimento reale e la coscienza inquieta. L’Italia liberale e il socialismo e altri scritti tra storia e memoria, 1992] [(27) K. Marx F. Engels, Il capitale. Libro I. Trad. di D. Cantimori, Roma, 1964, pp. 825-26. L’argomento della naturale disposizione della classe operaia all’organizzazione e alla politica fu ripreso anche nella discussione sul POSDR. Si veda in particolare l’articolo di A.A. Bogdanov (Rjadovoj), “Rosa Luxemburg contro Karl Marx’ in Lenin, ‘Che fare?’, a cura di V. Strada, Torino, 1971, pp. 348-359 e i testi marx-engelsiani ivi richiamati. Per Lenin su questo punto, v. nota 11 (*). Questi concetti relativi alla genesi del movimento dalla condizione sociale degli operai nella fabbrica e in particolare dalla disciplina che la fabbrica impone agli operai, sono stati più volte ripresi anche in sede storica. Fra i testi più significativi si veda la conferenza di Max Weber “Il socialismo”, del 1918, ora in M. Weber, ‘Scritti politici’, tr. di P. Manganaro, Catania, 1970, pp. 259-260; (28) Lettera di F. Engels a Th. Cuno del 24 gennaio 1872, in K. Marx, F. Engels, Opere scelte, cit., p. 945; ((*) nota 11: Lenin stesso scrisse che questo era stato lo scopo essenziale della sua battaglia del 1902-04, coronata dal successo. Contro l’accusa di aver creato un partito separato dalla classe precisò: “Condizione fondamentale di questo successo è stato, naturalmente, il fatto che la classe operaia, il cui fior fiore ha creato la socialdemocrazia, si distingue, grazie a cause economiche oggettive, da tutte le classi della società capitalistica per la sua maggior attitudine all’organizzazione”, Lenin, Prefazione alla raccolta “Dodici anni” in ‘Opere Complete’, Roma, vol. 13, 1965, pp. 89-91)]