“Vero è che per Marx la soppressione della divisione del lavoro non si configura mai come un impossibile e reazionario ritorno ad assetti e a modi di vita precapitalistici, bensì come una ‘Aufhebung’, cioè come una soppressione che conserva le acquisizioni e la ricchezza della civiltà capitalistica. In tal senso Marx non è certo un critico romantico della rivoluzione industriale e non ha mai pensato di ritornare alla semplicità di vita delle epoche preindustriali. Tant’è vero che nella ‘Miseria della filosofia’ uno dei motivi di critica a Proudhon è che questi non vede l’aspetto rivoluzionario della fabbrica meccanizzata, la quale cancella le specializzazioni e l’idiotismo dei mestieri, rende i vari lavori e le varie mansioni uniformi e omogenei, tali che possono essere compiuti da qualunque operaio a un livello medio di addestramento. «Ma dal momento che ogni sviluppo speciale cessa – osserva Marx – il bisogno di universalità, la tendenza verso uno sviluppo integrale dell’individuo, comincia a farsi sentire» (37). E non solo. Poiché la base tecnica della grande industria è rivoluzionaria – a differenza della base tecnica, sostanzialmente conservatrice, dei modi di produzione preindustriali – essa sovverte costantemente, con l’invenzione di nuove macchine e l’introduzione di nuovi processi, le funzioni degli operai e le combinazioni sociali del processo lavorativo. «Così essa rivoluziona con altrettanta costanza la divisione del lavoro entro la società e getta incessantemente masse di capitale e masse di operai da una branca della produzione nell’altra. Quindi la natura della grande industria porta con sé ‘variazione del lavoro’, fluidità delle funzioni, mobilità dell’operaio in tutti i sensi» (38). Per la grande industria diventa questione di vita e di morte la disponibilità assoluta dell’uomo per il variare delle esigenze del lavoro, e perciò essa tende a «sostituire all’individuo parziale, mero veicolo di una funzione sociale di dettaglio, l’individuo totalmente sviluppato, per il quale le differenti funzioni sociali sono modi di attività, che si danno il cambio l’uno con l’altro» (39). Per Marx, dunque, il superamento della divisione del lavoro può avvenire soltanto sulla base della grande industria, e non certo con impossibili ritorni alle società preindustriali e al maestro artigiano del medioevo. Questa posizione è ciò che lo differenzia da quasi tutti gli altri critici romantici della società industriale” (pag 116) [Giuseppe Bedeschi, ‘Marx e la divisione del lavoro’, Mondo Operaio, Roma, n. 3, marzo 1979] [(37) K. Marx, ‘Miseria della filosofia’, a cura di F. Rodano, Roma, 1950, pp. 114-116; (38) K. Marx, ‘Il Capitale’, a cura di D. Cantimori, vol. 1/2, Roma 1956, pp. 199-200; (39) Ivi, p. 201]