“Il 30 aprile – 13 maggio 1907 Plechanov, il padre del marxismo russo, dichiarò aperto il Congresso (V Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo, POSDR, ndr) dopo che i delegati ebbero cantato un inno funebre in onore dei compagni caduti. Stalin osservò che Lenin se ne stava spesso seduto vicino a Gorkij, un uomo alto di una magrezza spettrale, dall’aria tormentata. (…) C’erano 302 delegati con diritto di voto, che rappresentavano 150.000 lavoratori; ma dopo i giorni gloriosi del 1905 il partito, polverizzato dalla repressione di Nicola II, attraversava un momento terribile. (…) L’intero partito si rimpiccioliva, ma in Georgia la disfatta bolscevica era stata tale che Stalin, Cchakaia e Saumjan avevano un volto soltanto consultivo, non deliberativo. «Chi è quello?» sembra che Stalin abbia chiesto a Saumjan quando un nuovo oratore salì sul podio. «Non lo conosci?» rispose Saumjan. «E’ il compagno Trockij (…)». Se Stalin aveva comandato le sue milizie a Ciatura, Trockij era stato il presidente del Soviet di San Pietroburgo. Scrittore spontaneamente brillante, di un’eloquenza abbagliante dalla tribuna, inconfondibilmente ebreo nell’accento e spudoratamente vanesio, Trockij, con la ricercata eleganza degli abiti e una capigliatura che i ciuffi accuratamente gonfiati facevano sembrare una criniera, possedeva tutto il fascino della celebrità di sinistra internazionale anni luce prima di Stalin. Malgrado fosse il figlio di un ricco agricoltore ebreo del remoto governatorato di Cherson, era di una smodata arroganza, e guardava ai georgiani come a dei bifolchi «di provincia». Lenin, che l’aveva soprannominato «la penna» per il suo virtuosismo di giornalista, adesso deplorava che Trockij si desse troppe arie. Stalin, i cui talenti restavano in ombra mentre Trockij scintillava alla ribalta, lo odiò a prima vista: Trockij era «un tipo attraente, ma inutile», scrisse una volta tornato a casa. Quanto a Trockij, si limitò a osservare sprezzantemente che Stalin «non parlò mai». Ed è vero che durante l’intero Congresso la voce di Stalin non si udì mai. Sapeva che i menscevichi, i quali l’odiavano per i suoi modi rozzi e le attività banditesche, gli stavano addosso, nel quadro della loro campagna per mettere al bando le rapine in banca e segnar dei punti contro Lenin. Quando questi propose di votare sui poteri dei delegati, Martov, il leader menscevico russo, incitato da Zordania, contestò i tre delegati senza diritto di voto deliberativo: Stalin, Cchakaia e Saumjan. «Non possono votare se non sappiamo di chi si sta parlando. Chi sono queste persone?» chiese Martov. «A dire la verità non lo so», fu la disinvolta risposta di Lenin, che aveva appena incontrato Stalin a Berlino. L’istanza di Martov fu respinta. «Noi protestiamo!» gridò Zordania, ma non servì a nulla. D’allora in avanti Stalin detestò Martov, il cui vero nome era Cederbaum, e che, come Trockij, era ebreo. (…) Lenin ebbe partita vinta al Congresso. Tra gli eletti al Comitato Centrale i bolscevichi superarono i menscevichi; e Lenin mantenne in piedi il suo «Centro bolscevico» segreto. «In quel momento», rifletté in seguito Stalin, «assistei al trionfo di Lenin»” [Simon Sebag Montefiore, ‘Il giovane Stalin’, Longanesi, Milano, 2010] (pag 218-220) [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:5 Agosto 2019