“Il corrispettivo della cooperazione consapevole nel comunismo è, per Marx, nel sistema capitalistico, la violenza: dapprima aperta e sfacciata alle origini (si ricordino le splendide pagine a questo proposito di un celebre capitolo del ‘Capitale’), poi abituale, struttura stessa di movimento della società stessa. Nel capitalismo maturo la violenza si è formalizzata, spersonalizzata, regolarizzata attraverso l’impostura del contratto e le forme giuridiche ad esso connesse, ma non per questo ha cessato di essere tale. A questa violenza impersonale e formale Marx ha sempre categoricamente escluso che avesse un senso rispondere con atti di violenza individuale: svelando il carattere di violenza della società capitalistica e togliendo alla classe dominante il monopolio della scienza politica e di quella economica e delle stesse scienze in generale, attraverso un lungo processo di assimilazione sociale della cultura e del sapere, le forze produttive nel loro lato soggettivo, cioè gli individui sociali, sarebbero arrivati a sentirsi proprietari della società nel suo complesso. La dialettica marxista sostiene che il capitalismo si rovescia per le sue interne contraddizioni, ma anche perché gli uomini diventano tutti compartecipi, «azionisti» (per usare un termine capitalistico) di quella società che li vorrebbe semplice forza-lavoro. Non è un caso che Marx passi gli ultimi anni della sua vita a leggere Morgan e i grandi etnologi del suo tempo, che gli fornivano elementi a sostegno della naturalità del carattere comunitario della società umana, carattere che andava però unito al problema del massimo sviluppo possibile delle forze produttive nel loro lato soggettivo: non si trattava di vagheggiare un ritorno al comunismo primitivo, ma di fare della scienza, divenuta patrimonio comune, passando attraverso la critica, una forza propulsiva, antidogmatica, antireificante, capace di prospettare un fine, una meta del tutto nuova, perché in grado di unire ai caratteri comunitari dell’umanità primitiva l’eredità della scienza come disponibilità sociale del sapere. Unendo questi elementi, la possibilità di creare un potere alle spalle delle masse diventa sempre più difficile: questa è la grande fede che anima noi marxisti, e nonostante tutti i limiti a cui è andato incontro durante le fasi della sua storia, questo rimane il fine ultimo del marxismo stesso ed è anche la chiave esplicativa di tanti aspetti, per altri versi incomprensibili, della storia del nostro presente” [Nicola Badaloni, ‘Considerazioni di un marxista sui rapporti tra marxismo e nonviolenza’] [(in) Aa.Vv, ‘Marxismo e nonviolenza’, Genova, 1977]