“Nelle lezioni sugli antecedenti storici del socialismo Labriola aveva fatto ricorso a ‘La guerra dei contadini in Germania’ di Friedrich Engels (1850), dove peraltro Dolcino non era nominato, ma lo stimolo più diretto gli venne dalla pubblicazione, nel 1895, del primo volume dei ‘Precursori del socialismo’ di Karl Kautsky, nel cui terzo capitolo («Il comunismo ereticale in Italia e nelle Francia meridionale») si discuteva di Dolcino e degli Apostolici. Nello stesso anno ne trattò estesamente anche Adolph Hausrath, docente di esegesi neotestamentaria e storia della Chiesa a Heildeberg, nel terzo volume dei ‘Riformatori medievali’, un testo più aggiornato rispetto alla precedente bibliografia sull’argomento, ma poco noto in Italia, che Labriola utilizzerà sistematicamente, traducendolo qua e là alla lettera, nei due corsi universitari (6). Labriola, come Kautsky, non ebbe dubbi sull’interpretazione del moto degli Apostolici in rapporto a lotte di carattere sociale: tesi che, più in generale quanto alle eresie medievali e nella fattispecie al caso di Dolcino, la critica moderna ha poi variamente contestato, sostenendo la «preminenza» del «piano ecclesiastico-religioso» sui «meno evidenti conflitti socioeconomici» (7) e ridimensionando l’evento da consapevole progetto insurrezionale a tragico epilogo di una crociata repressiva (8). L’esiguità dei riferimenti a Dolcino nel ‘Discorrendo’ ha talvolta autorizzato una superficiale sovrapposizione con le tesi di Kautsky (9). Ma le lezioni mostrano una notevole indipendenza di Labriola in punti decisivi: la sua trattazione si sforza quanto meno di sfuggire a un’applicazione dogmatica del materialismo storico, esposto, nella considerazione della storia come «una illazione logica» dalle «condizioni economiche» e dai rapporti «delle classi», al rischio massimo – maggiore che nelle altre scuole di pensiero – di «degenerare in determinismo». Kautsky e Labriola, premettono al racconto un diverso quadro della situazione sociale, economica e politica dell’Italia fra Due e Trecento. Per il primo lo sfondo sociale ed economico della rivolta è dato dall’acuirsi del conflitto tra contadini e signori feudali, e Dolcino avrebbe tentato nelle campagne del Novarese di dar via a una vera e propria insurrezione tesa a realizzare un esperimento comunista ed una generale riforma della società. Il progetto cadde per la limitatezza delle vedute di classe delle plebi rurali, rispetto alle quali quel programma, benché utopico, sarebbe stato politicamente più avanzato (10). La tesi di Labriola è più sfumata: a suo dire, sulla scia di autori come Samuel Sugenheim e Heinrich Leo, sono le trasformazioni in atto nelle campagne a seguito del crescente controllo della proprietà ‘borghese’ e l’abolizione della servitù personale, a creare i presupposti della formazione di un «enorme proletariato di campagna», una nuova classe di «straccioni ai quali il nuovissimo evangelo era diretto». Frammenti di ceti o «detriti» non integrati, «disoccupati», emigranti, alimento dell’economia cittadina, delle milizie mercenarie e delle sette, allo stesso francescanesimo, «specie nelle sue manifestazioni ereticali»: più che una ‘jacquerie’, della quale non sussistevano le condizioni, la sollevazione di una disgregata «opposizione plebea», formata da «declassés» esposti alle suggestioni della propaganda chiliastica e antigerarchica, fu il risultato di un’economia agraria «precocemente modernizzata» (11). Tutta la prima parte del corso è dedicata ad argomentare questa tesi. Dolcino fallì, secondo Labriola, non per essere un’avanguardia, come riteneva Kautsky, ma perché ben altre forze, e non le rivolte agrarie o il fragile miraggio profetico degli apostolici, stavano minando l’arcaico sistema feudale e il dispotismo ecclesiastico: la «borghesia nascente» dei comuni, col suo impetuoso sviluppo protocapitalistico, la moderna monarchia francese, con Filippo il Bello, l’«intelletto diventato prosaico» e una politica ormai profanizzata: sì che qualche decennio dopo anche il moto dei Ciompi non avrà «più carattere religioso», anzi sarà «ateo nella sua punta estrema». Prescindendo dalla sua verosimiglianza, c’era in questa ricostruzione una non irrilevante lezione di metodo: la storia delle rivolte premoderne non poteva farsi – caso per caso – senza il presupposto dello sviluppo diseguale del capitalismo nei vari paesi, che certi generici schemi morfologici del materialismo storico non rappresentavano correttamente. Da qui anche la critica a Marx (l’«errore del ‘Manifesto dei Comunisti’» sull’origine della borghesia medievale) e l’esplicita denuncia del dogmatismo dei «volgari ‘marxisti’», ripetitori meccanici delle formule del ‘Capitale'” [dall’introduzione di Alessandro Savorelli] [(in) Antonio Labriola, ‘Fra Dolcino’, Pisa, 2013] [(6) K. Kautsky, ‘Die Vorläufer des neueren Sozialismus, I, 1. Von Plato bis zu den Wiedertäufern’, Stuttgart, Dietz, 1895, pp. 148-63; A. Hausrath, ‘Die Arnoldisten (Weltverbesserer im Mittelalter’, Bd. 3), Leipzig, Breitkopf u. Härtel 1895, pp. 279-387. Per il testo di F. Engels, ‘Der deutsche Bauernkrieg’, vd. Mega, I/10, Berlin, Dietz, 1977, pp. 377-443; (7) G.G. Merlo, ‘Fra Dolcino e i movimenti di rivolta contadini’, in ‘La crisi del sistema comunale’, Milano, Teti, 1982, p. 291 (ma vd. anche Id., ‘Eretici ed eresie medievali’, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 119-28); (8) La posizione più intransigente nei confronti delle letture ‘sociologiche’ è quella di R. Orioli, ‘Venit perfidus heresiarcha’. Il movimento apostolico-dolciniano dal 1260 al 1307′, Roma, Ist. storico italiano per il Medio Evo, 1988, passim, ed Id., ‘Fra Dolcino; nascita, vita e morte di un’eresia medievale’, Novara, Europia 1992 (2); pp. 33-4. Una ripresa del tema in chiave marxista aveva tentato B. Töpfer, ‘Il regno del futuro della libertà. Lo sviluppo delle speranze millenaristiche nel Medioevo centrale’, Genova, Marietti, 1992, ma si vedano anche G. Barone, ‘Le componenti religiose delle rivolte’, in ‘Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento. Un confronto’, a cura di M. Bourin, G. Cherubini e G. Pinto, Firenze, University Press, 2008, pp. 323-36; e C. Mornese, ‘Eresia dolciniana e resistenza montanara’, Roma, Derive Approdi 2002, che, come il gruppo di autori raccolti attorno alla “Rivista dolciniana” (dal 1994), sposta l’accento sulla specificità dei rapporti sociali dell’area valsesiana negli anni della rivolta; (9) Come in Orioli, ‘Venit perfidus heresiarcha’, pp. 217-8, che, menzionando di seconda mano l’edizione del 1921 del ‘Vorläufer’, cade nell’equivoco di attribuire anacronisticamente a Kautsky un «tentativo di concretizzare il pensiero del Labriola». Assai più equilibrato il giudizio di Miccoli, ‘Note sulla fortuna’, pp. 255-9; (10) Kautsky, ‘Die Vorläufer’, pp. 153-60; (11) L’appartenenza dei dolcininani a strati infimi della plebe rurale è oggi messa in discussione, sulla base di dati emersi dai documenti dei processi agli Apostolici (vd. per es. Merlo, ‘Eretici ed eresie medievali’, p. 124)]
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- Articolo pubblicato:11 Luglio 2017