“[I]nteressa qui soltanto illustrare il rapporto di necessaria dipendenza logica rispetto alle due tesi dianzi avanzate: che la ricomprensione italiana del marxismo attraverso la versione rivoluzionaria dello storicismo si risolve in una sua ricomprensione illuministica; e che lo storicismo nel farsi rivoluzionario dissolve la filosofia nell’ideologia. Si vuol qui mostrare come tutte le critiche di cui il gramscismo è passibile, possano venir ridedotte a partire da queste due tesi fondamentali. Partirò perciò da quelle mosse da un autore molto lontano dalle mie idee, il marxista Riechers. Egli osserva come in Gramsci il marxismo prenda un contenuto completamente nuovo, diventando una teoria della «riforma intellettuale e morale» che «quanto ai contenuti non va oltre una sintesi di emancipazione paleoborghese della religione sul piano ideologico e dal feudalesimo e dall’assolutismo sul piano politico-economico, assumendo dai partiti radicaldemocratici borghesi il punto programmatico della “laicizzazione di tutta la vita”» (73). Possiamo tradurre queste tesi in termini diversi ma equivalenti. Che, nella realtà effettuale, il comunismo gramsciano esegue le intenzioni della borghesia. Che ha la funzione storica di coprire la transizione da uno stadio all’altro della borghesia, segnato da un più oppressivo dominio. Che il comunismo gramsciano risolve la rivoluzione nella modernizzazione, ma che questa modernizzazione è da intendere come dissociazione completa di spirito borghese da cristianesimo. Le filosofie di Croce e di Gentile appartengono ancora al mondo cristiano-borghese; la critica gramsciana le colpisce soltanto nell’aspetto di «filosofie cristiane». Il pensiero di Gramsci rappresenterebbe dunque il fallimento della rivoluzione di fronte alla borghesia, o la condizione per la transizione a un nuovo ordine borghese. Ma come può essere avvenuto se l’intenzione gramsciana era invece quella di portare la teoria rivoluzionaria alla formulazione più rigorosa? Se la sua filosofia può complessivamente essere definita come il commento delle ‘Tesi su Feuerbach’ centrato con maggior rigore sulle tesi della trasformazione rivoluzionaria? (74). Ascoltiamo anzitutto il suo avversario Bordiga. Egli ha più volte portato l’attenzione sull’errore fondamentale di aver sostituito all’opposizione capitalismo-proletariato quella fascismo-antifascismo; nell’aver creato il mito del fascismo come male in sé elevandolo, come altri han detto, a categoria metastorica (75). Nell’ultima sua intervista disse che l’antifascismo aveva dato «vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati giù giù fino alle schiere ridicole dei mezziborghesi, intellettuali e laici» (76); aggiungendo che Gramsci fu deviato dall’«assurdo liberalismo rivoluzionario» di Gobetti, col quale era portato a collaborare in ragione dell’errore tattico che lo disponeva a stringere legami con qualunque avversario di Mussolini. Infatti, introdotto il fascismo come avversario ‘primo ed essenziale’, passi ulteriori diventano necessari. In primo luogo, distinguere tra una borghesia progressiva (industriale) e una borghesia arretrata (agraria, terriera, parassitaria, redditiera di beni immobiliari, eccetera), fare della seconda la sola responsabile e il pascolo del fascismo, e asserire la necessità di allearsi con la prima sino al compimento dell’evoluzione democratico-borghese della nazione italiana. Poi, trasferire il giudizio affermativo di valore al «progresso», allo «sviluppo», alla liberazione dalle «arcaicità feudali», eccetera, e attribuire una funzione positiva al capitalismo, come fase che libera dell’«arretratezza». A questo punto il successo di Gramsci diventa la copertura del successo dei suoi avversari, di quelli che più dichiaratamente ha detto tali, economicismo, positivismo, scientismo; la via nuova al socialismo diventa transizione dal vecchio al nuovo capitalismo. Il comunismo diventa il partito che evita la «rottura rivoluzionaria»; capace di rendere possibile una «rivoluzione senza rivoluzione», secondo una delle formule usate da Gramsci per designare la «rivoluzione passiva» anche se separata, questa volta, dall’idea di «rivoluzione-restaurazione»” [Augusto Del Noce, ‘Il suicidio della rivoluzione’, Milano, 2012] [(73) Antonio Gramsci, ‘Quaderni del carcere’, cit, pp. 133 e 222 (Nda); (74) Se le ‘Tesi su Feuerbach’ furono il testo di Marx su cui particolarmente si accentrò l’attenzione dei filosofi italiani, possiamo dire che Gentile fu particolarmente sensibile all’importanza della prima, Mondolfo della terza, Gramsci dell’undecima (Nda); (75) Cfr. T. Perlini, op. cit., p. 160 (Nda); (76) ‘Una intervista ad Amadeo Bordiga’, in “Storia contemporanea”, settembre 1973, p. 582 (Nda)]
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- Articolo pubblicato:10 Novembre 2017