“Scritto fra il 1919 e il 1922, ‘Storia e coscienza di classe’ viene pubblicato a Berlino nel 1923, mentre Lukács si trova esule a Vienna, dopo il fallimento della breve esperienza rivoluzionaria ungherese, culminata con la costituzione di un’effimera «repubblica dei consigli» (marzo-agosto 1919), nell’ambito della quale Lukács aveva ricoperto l’importante ufficio di «commissario per la cultura popolare». Fin dalle prime pagine dell’opera, il filosofo ungherese si preoccupa di definire l’«ortodossia» marxista non in termini di adesione a questa o a quella tesi di Marx, ma in termini di fedeltà al «metodo» marxiano di ricerca: « (…) anche ammesso – e non concesso – che le indagini recenti abbiano provato senza alcun dubbio l’erroneità materiale di certe asserzioni di Marx nel loro complesso, ogni marxista “ortodosso” serio potrebbe senz’altro accettare questi nuovi risultati, rifiutando interamente alcune tesi marxiane, senza rinunciare per un minuto solo alla propria ortodossia marxista. Il marxismo ortodosso non significa perciò un’accettazione acritica dei risultati della ricerca marxiana, non significa un “atto di fede” in questa o in quella tesi di Marx, e neppure l’esegesi di un libro “sacro”. Per ciò che concerne il marxismo, l’ortodossia si riferisce esclusivamente al ‘metodo’». Tale metodo, che costituisce per Lukács il nucleo essenziale del marxismo, è il metodo dialettico: la sua peculiarità consiste nell’integrare i singoli fatti della vita sociale nella totalità dello sviluppo storico, e perciò nel conoscerli non come determinazioni statiche di una realtà immutabile, ma come momenti di quella stessa totalità in divenire” [Evandro Botto, ‘Il neomarxismo, 1’, Roma, 1976] (pag 37-38)