“(…) i villaggi abitati da piccoli proprietari e contadini liberi – che nell’impero erano sempre esistiti accanto agli schiavi – caddero sotto il «patronato» di grandi magnati agrari, nell’intento di cercar protezione dalle estorsioni del fisco e dalla coscrizione statale; e vennero così a trovarsi in una situazione economica assai simile a quella degli ex schiavi. Il risultato fu l’emergere, e alla fine il netto prevalere in quasi tutte le province, della figura del ‘colonus’ – il coltivatore dipendente, legato alla terra del signore, e tenuto a versargli censi in natura o in denaro per il suo podere, o a coltivarlo sulla base della spartizione del prodotto (le prestazioni d’opera in senso stretto non costituivano la norma). In genere, ai coloni toccava circa metà del raccolto del podere. I vantaggi che, in termini di costo, la nuova organizzazione del lavoro assicurava alla classe sfruttatrice finirono per diventare brutalmente evidenti, quando i proprietari accettarono di sborsare una somma maggiore del prezzo di mercato di uno schiavo per sottrarre il colono al richiamo alle armi (62). Diocleziano aveva decretato che i coloni fossero considerati inseparabili dal loro villaggio ai fini della riscossione delle imposte; da allora e per tutto il IV e V secolo, con una serie di decreti di Costantino, Valente e Arcadio, la giurisdizione del signore sui coloni venne continuamente ampliata. Gli schiavi agricoli, nel contempo, cessavano di rappresentare un convenzionale articolo di scambio, finché Valentiniano I – l’ultimo grande imperatore pretorio dell’Occidente – ne proibì formalmente la vendita separatamente dalle terre che lavoravano (63). Con un processo convergente, si era così formata nel corso del basso impero una classe di produttori agricoli dipendenti, giuridicamente e economicamente distinta così dagli schiavi come dai contadini liberi o dai piccoli proprietari indipendenti. Né l’ascesa del sistema del colonato aveva significato un declino della ricchezza o nel potere dei proprietari fondiari: al contrario, proprio perché assorbiva i piccoli coltivatori un tempo indipendenti, e tuttavia alleviava i problemi di gestione e di sorveglianza su vasta scala, quel sistema comportò un grosso aumento complessivo del patrimonio fondiario dell’aristocrazia romana. La proprietà complessiva dei magnati rurali – spesso dispersa in un gran numero di province – toccò il culmine nel V secolo. La schiavitù, naturalmente, non scomparve affatto in modo totale; il sistema imperiale anzi non poté mai farne a meno. L’apparato statale, continuò a dipendere da manodopera schiavile per la sua rete d’approvvigionamento e di comunicazione, tenuta a un livello di efficienza prossimo a quello tradizionale sino all’ultimo giorno di vita dell’impero d’Occidente. Se nella produzione artigianale urbana il ruolo degli schiavi diminuì sensibilmente, ovunque essi continuarono a fornire abbondante servizio domestico alle classi possidenti: e inoltre, almeno in Italia e in Spagna, e probabilmente anche in Gallia più di quanto normalmente si supponga, rimasero relativamente numerosi sul suolo delle campagne, coltivando i latifondi dei proprietari provinciali. Melania, gentildonna convertitasi alla fede agli inizi del V secolo, soltanto nelle sue proprietà vicino a Roma possedeva forse 25.000 schiavi distribuiti in 62 villaggi (64). Il settore schiavile dell’economia rurale, gli schiavi dei servizi e quelli delle industrie di stato, sommati insieme, bastavano ampiamente a conservare sulle attività manuali il marchio della degradazione sociale, e a bandire l’invenzione dal campo del lavoro. «La schiavitù, morendo, lasciò dietro di sé il suo pungiglione avvelenato, bollando come ignobile il lavoro dei liberi» ha scritto Engels. «Questo fu il vicolo cieco in cui restò imprigionato il mondo romano» (65). Le isolate scoperte tecniche del principato, ignorate dal mondo di produzione schiavista al suo culmine, gli restarono ugualmente celate nel periodo della disgregazione. La tecnologia non ricevette alcuno stimolo dalla trasformazione degli schiavi in coloni: le forze produttive dell’antichità rimasero bloccate al loro tradizionale livello. Con la formazione del colonato però, l’asse centrale dell’intero sistema economico si spostò, e venne a imperniarsi sul rapporto tra produttore agricolo dipendente, signore e stato. L’ingigantita macchina militare e burocratica del basso impero, infatti, estorceva un prezzo spaventoso a una società le cui risorse economiche si erano di fatto ridotte” [Perry Anderson, ‘Dall’antichità al feudalesimo’, Milano, 1978] [(62) Jones, ‘The Later Roman Empire’, II, p. 1042; (63) ibid., p. 795; (64) In totale, possedeva terre in Campania, Puglia, Sicilia, Tunisia, Numidia, Mauritania, Spagna e Britannia; e tuttavia il suo reddito appariva, ai contemporanei, quello normale di una famiglia senatoria di media ricchezza (v. Jones, ‘The Later Roman Empire’, II, pp. 793, 782, 554); Marx-Engels, ‘Selected Works’, Londra, 1968, p. 570]
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- Articolo pubblicato:12 Dicembre 2016