“I rapporti sociali “non sono rapporti tra individuo e individuo”, ma tra operaio e capitalista, tra contadino e proprietario fondiario; ecc.: “Cancellate questi rapporti, e distruggerete la società” (28). Nella società capitalistica la proprietà non è dissociabile dall’appropriazione privata del pluslavoro altrui, in altre parole dallo sfruttamento. La società non è riducibile a un aggregato d’individui, o di “lavoratori immediati”. E’ un rapporto tra classi sociali antagoniste. Ancora prima delle celebri frasi che aprono il ‘Manifesto del partito comunista’, redatte alla fine dello stesso anno (1847), nella ‘Miseria della filosofia’ delinea i termini generali del conflitto che muove la dinamica storica: “Nel momento in cui la civiltà comincia, la produzione inizia a fondarsi sull’antagonismo degli ordini, delle caste, delle classi, e infine sull’antagonismo del lavoro accumulato e del lavoro immediato”. La conseguenza, in termini pratici, che trae da tutto questo è agli antipodi di quella proposta da Proudhon. Per quest’ultimo “le coalizioni operaie” sono nocive in quanto le corporazioni dell”ancien régime’, e il fatto che i lavoratori ne abbiano “perso l’abitudine” deve esser considerato un progresso (29). Per Marx, al contrario, questa massa di lavoratori, “che costituisce già una classe di fronte al capitale ma non ancora in sé”, “si costituisce in classe per sé” associandosi e lottando insieme: “Gli interessi che essa difende diventano interessi di classe. Ma la lotta di classe contro classe è una lotta politica”. Nell’articolo del 1865 scritto in occasione della morte di Proudhon, Marx riprende la sua critica iniziale delucidandola maggiormente. Nel frattempo, le sue tesi, lavorate nel cantiere de ‘Il Capitale’, si erano notevolmente precisate e irrobustite. Il titolo stesso del saggio del 1840 sulla proprietà “già ne indicava l’insufficienza”: «La domanda era posta troppo impropriamente perché vi si potesse rispondere correttamente (…). La storia stessa si era preoccupata così di criticare rapporti di proprietà del passato. Quello che invece avrebbe dovuto costituire l’oggetto della trattazione di Proudhon erano i rapporti della moderna proprietà borghese. Alla domanda sulla natura di questi rapporti non si poteva rispondere se non con una analisi critica dell”economia politica’, la quale abbracciasse l’insieme di tali rapporti di proprietà, non nella loro espressione giuridica di rapporti di volontà, bensì nella loro forma reale di rapporti della produzione materiale». Quanto alla ‘Filosofia della miseria’, Marx rimprovera a Proudhon di aver condiviso «le illusioni della filosofia “speculativa”: invece di considerare le categorie economiche come espressioni teoriche di rapporti di produzione storici, corrispondenti a un determinato grado di sviluppo della produzione materiale, la sua immaginazione le trasforma in idee eterne, preesistenti a ogni realtà» (30). Tale critica radicale sfocia nel rifiuto della definizione di “proprietà” in termini di “furto”, che si limita a una concezione giuridica o moralistica dei rapporti di produzione: «le nozioni giuridiche del borghese sul ‘furto’ si applicano altrettanto bene ai suoi ‘onesti’ profitti. D’altra parte, poiché il furto, in quanto violazione della proprietà, ‘presuppone la proprietà’, Proudhon si impania in ogni sorte di nozione confusa e fantastica sulla vera proprietà borghese» (31). Invece di considerare la proprietà come una categoria giuridica illegittima, come la maggior parte dei socialisti dell’epoca, Marx l’analizza fin dall”Ideologia tedesca’ come “un modo di relazione necessaria a uno stadio di sviluppo delle forze produttive”” [Daniel Bensaïd, ‘Gli spossessati. Proprietà, diritto dei poveri e beni comuni’, Milano, 2009] [(28) Karl Marx, ‘Miseria della filosofia’, cit., pp. 361, 369, 401. In una lettera del 26 ottobre 1847, Engels riporta di aver detto a Louis Blanc che poteva considerare il libro di Marx contro Proudhon (‘Miseria della filosofia’) “il nostro programma”; (29) Pierre-Joseph Proudhon, ‘Filosofia della miseria’, cit., p. 430; (30) Karl Marx, “Lettera a Schweitzer”, trad. it., in Id., ‘Miseria della filosofia’, cit., pp 184-186; (31) Ivi, p. 185]