“E così, pur respingendo la filosofia, erano nate le lettere al Sorel; lettere che il Labriola aveva scritto non tanto per ricavare, appunto, un fondamento filosofico dal materialismo storico, quanto per chiarirne il senso antimetafisico contro le pretese della cultura idealistica e positivistica; salvo poi respingere la filosofia, come s’è detto, qualora questa non venga a costituirsi nel binomio di teoria e pratica, cioè come coscienza storico-politica. La posizione labriolana delle lettere al Sorel presenta un sorprendente parallelo rispetto a quelle che sono state chiamate le tre fonti della filosofia della prassi (13), nel pensiero gramsciano. Infatti, mentre il Labriola concepiva il materialismo storico in un “triplice aspetto”, di “tendenza filosofica nella veduta generale della vita e del mondo, di critica dell’economia… e di interpretazione della politica” (14), Gramsci adombrando la concezione labriolana, formulava, precisando, le tre fonti della filosofia della prassi: “filosofia classica tedesca… economia classica inglese, … letteratura e pratica politica francese” (15), con in più la finezza che lo portava a distinguere la filosofia della prassi come “sintesi nuova” operata su questi tre movimenti, più che elaborazione dovuta a questi tre movimenti stessi; con ciò significando la preoccupazione di affermare l’originalità e l’integrità del marxismo. Continuava il Labriola: “Questi aspetti che qui enumero astrattamente, come accade sempre per comodo di analisi, faceano uno “nel pensiero di Marx e di Engels”; quell”uno’ che, poi, si chiariva come reale, anzi, come la realtà stessa, e che nei suoi correlati filosofici veniva ad essere formulato nel concetto di dialettica, o, come Labriola preferiva, di concezione genetica, “di certo… più comprensiva, perché abbraccia così il contenuto reale della cose che divengono, come la virtuosità logico-formale di intenderle per divenienti” (17). In tal modo la dialettica veniva a risultare non legge a priori (18), non legge di tendenza o “circoscritta generalizzazione” (19), bensì più esattamente “un ritmo del pensiero che corrisponde a un ritmo della realtà che diviene” (20), cioè “condizione…dello stesso concetto concreto della realtà, che non è di entità fisse, ma di processi” (21)” [saggio di Alfeo Bertondini, ‘Gramsci e Labriola] (in) ‘La città futura. Saggi sulla figura e il pensiero di Antonio Gramsci’, Milano, 1959, a cura di Alberto Caracciolo e Gianni Scalia] [(13) N. Matteucci, ‘Antonio Gramsci e la filosofia della prassi’, Milano; 1951, pp. 13-27; (14) ‘Discorrendo’, p. 19, ma anche p. 73 e p. 89; (15) MS, p. 90; (16) ‘Discorrendo’, p 19; (17) ‘Lettere a Engels’, p. 147; L. Dal Pane, ‘Antonio Labriola’, cit., p. 261; (18) G. Gentile, ‘La filosofia di Marx’, Pisa, 1899, pp. 91-93; (19) B. Croce, ‘Mat. storico ed econom. marxistica’, Bari, 1951, p. 86; (20) L. Dal Pane, op. cit., p. 370; (21) R. Mondolfo, ‘Il mat. stor. di F. Engels’, Firenze, 1952, p. 59]